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20 Novembre 2023

Vino e sport | Intervista a Mattia Perin, tra la Juventus e i rimontaggi

Gli appassionati di vino sono sempre di più e, tra questi, ci sono anche gli sportivi professionisti. Mi sono spesso chiesto come sia possibile coniugare la passione profonda del bere con uno stile di vita sano e lì è nata l’idea di intervistare chi per lavoro deve essere costantemente al meglio delle proprie capacità fisiche e mentali.

Chi è spesso sotto ai riflettori dà un’immagine parziale di sé, legata alle proprie performance o a come appare sui social e nelle interviste, eppure tutti noi siamo molto più di quello che possiamo apparire. Parlandone in redazione ci siamo detti: “Vuoi vedere che anche tra gli sportivi professionisti qualche appassionato di vino lo troviamo?”. Con questa idea in mente, ho contattato un po’ di veri atleti che mi è sembrato fossero sensibili all’argomento, persone che insomma vedrei bene a tavola con noi.

Caso ha voluto che il primo a rispondere abbia anche una certa confidenza col numero 1 sulla maglia: Mattia Perin, oggi portiere della Juventus. Nessuno meglio di lui per cominciare. (Per un attimo con Simone Di Vito abbiamo fantasticato l’album di figurine che mancava, un po’ Panini, un po’ Lino Banfi e un po’ Intravino).

Nervi, muscoli e poca carne, gli occhi vispi e alcuni tratti da Nouvelle Vague francese, tra il bambino de La vita è bella di Benigni e un Antoine Doinel che si è fatto adulto, alto un metro e novanta. Mattia Perin nasce a Latina ma oggi vive nella luce chiara della sabauda Torino: si definisce come la somma delle esperienze che ha vissuto. Troppe da raccontare per chi ha iniziato ad inseguire il sogno sportivo andando via di casa a tredici anni. Perin ama il pianoforte ed è impegnato sul tema della salute mentale, specie in aiuto dei più giovani, ma ad incuriosirmi è stata la sua passione per il vino, intercettata su Instagram tra assaggi non banali e cantine ben poco accessibili.

Dopo un mese trascorso senza bere, il ritorno all’uso del polso per stappare più e più bottiglie e la visita dal nutrizionista – che mi ha invitato (obbligato, ndr) a fare sport – ho deciso di intervistarlo, anche per chiedergli qualche consiglio in merito. Chi meglio di lui? Ci siamo sentiti al telefono e ho mantenuto per iscritto lo stile del parlato.

[Panini®]

Ciao Mattia, dove nasce la tua passione per il vino?
Si può dire che in mezzo al vino ci sono nato. I miei nonni erano muratori e mettevano ogni anno da parte dei soldi per comprare l’uva. Erano dei négociant (ride). Compravano l’uva e mi ricordo questo vino bianco, un assemblaggio di vitigni della zona, torbido eppure zeppo di solforosa che mettevano nelle damigiane e che poi bevevano tutto l’anno. Il mio primo calice posso dire di averlo bevuto a cinque anni, anche se era un bicchiere di plastica bianca del supermercato.

Quando hai imparato a bere “con coscienza”?
Quando giocavo nel Genoa ricordo che il mio compagno argentino Nicolás Burdisso (l’unico giocatore ad aver disputato 5 derby diversi nelle sue permanenze tra Boca, Inter, Roma, Genoa e Torino, ndr) aveva acquistato quattro, cinque ettari a Mendoza e produceva Malbec e Chardonnay. Ricordo che facevamo cene di squadra una o due volte al mese e io, spinto da amicizia e curiosità, mi sedevo di fianco a lui che ogni volta portava bottiglie diverse. Lo ascoltavo, mi raccontava e spiegava. È stato in una di queste cene che un assaggio mi ha folgorato, era un Pergole Torte 2010; mi sono emozionato, in quell’istante ho capito che dietro al vino c’era un mondo, una storia che volevo conoscere. Sono entrato nel piccolo spazio di un vortice a cono che negli anni ha continuato ad allargarsi e ora sembra non finire mai. Ho cominciato a comprare vini, a visitare le mie prime cantine intorno a Genova (fortuna ha voluto che le Langhe non fossero poi così distanti…), e da lì è stata una continua scoperta.

Un incontro fondamentale?
Sono stati tanti, posso dire di essere fortunato e di avere ormai tanti amici tra appassionati e produttori. Ma se devo dirti il primo nome che mi ha aiutato e introdotto nel mondo del vino è quello di Marco Tinessa. L’ho incontrato durante il suo periodo in Langa (Tinessa ha lavorato per un periodo a Monforte d’Alba da Mario Fontana, ndr), siamo diventati amici perché ho subito riconosciuto in lui una vocazione a fare il vino dopo una vita da professionista nelle banche e devo dire che mi ha fatto conoscere vignaioli e terroir, oltre ad avermi introdotto a cantine tra le più importanti in Langa e Borgogna. Il suo Ognostro Bianco per me è buonissimo (ne aveva scritto Simone Di Vito su Ten di Luglio) e nel suo aglianico, specie con qualche anno sulle spalle, trovo una stratificazione e una complessità che mi ricordano il syrah. E poi, come ti dicevo, è stato un susseguirsi di conoscenze arricchenti, di amicizie che si nutrivano della ricerca nel vino di umanità, storia e profondità.

Vini e luoghi del cuore?
Eh, sono tanti. Uno di certo è il Barolo Collina Rionda Riserva 1982 di Bruno Giacosa, da cappottarsi, ti dico solo che è l’unica bottiglia vuota che ho tenuto… e poi la storia è bella perché è frutto di uno scambio di bevute con un amico settantenne langarolo. E poi… non voglio fare una classifica perché nelle classifiche non credo e dipende molto dallo stato d’animo e dai desideri del momento, ma devo dirti che Langhe, Borgogna e Champagne sono – vabbè, non solo per me – posti straordinari. Aspetta, aspetta, ci dobbiamo mettere anche il Rodano e la Loira. E anche la Toscana, dài. Non possiamo non citare il sangiovese. Sai cosa? Io in quei posti ci vado spesso. È capitato che dopo Milan-Juventus quest’anno avessi un giorno libero e sono andato in una cantina a imparare a fare i rimontaggi, dalle 8 alle 13 per capire come davvero si fa il vino e non vivere solo di assaggi. E poi che dirti? Se ho due giorni liberi di fila mi è capitato di prendere l’auto e guidare fino in Borgogna nelle cantine di quelli che sono diventati amici ad assaggiare dalle botti. Pensa che Alexandre Vernet del Domaine Hoffmann-Jayer, dopo anni di conoscenza, mi ha dedicato un’intera barrique di Echezeaux Grand Cru 2020, l’anno di nascita di mio figlio Leonardo, un’emozione davvero unica!

Vogliamo citare qualche bottiglia?
Non amo farlo per non fare torto a nessuno e perché le bottiglie da citare sono sempre troppe. Alcune però, sì, citiamole, anche perché con queste ho un rapporto affettivo. Voglio dirti che per me il vino sono prima di tutto persone, poi vigna, storia, cultura. Se lo penso come una torta ti direi che la fetta più grande è la socialità che permette, gli incontri, una fetta è dedicata al romanticismo, alla fatica e alla storia degli uomini e della terra, un’altra ancora all’energia della natura, al sole, alle notti, alle lune e al clima. E poi, se ci pensi, l’immagine della torta è significativa perché rimanda alla festa, il vino è un dono che ci è fatto per l’allegria. Ah, le bottiglie, allora, cominciamo dalla Langa: il Barbaresco Montestefano di Serafino Rivella per me è una bevuta straordinaria, il 2016 è da impazzire per complessità e beva e Teobaldo è un amico e una persona straordinaria. E poi… Rinaldi, anche loro sono amici e per me Barolo Brunate è una bevuta unica al mondo, il 1992, che poi è il mio anno di nascita e che ho avuto la fortuna di bere, mi ha impressionato, era un cavallo vigoroso ed energico, scalpitava in sale e aveva una nota salmastra così interessante da perderci dentro il naso… e poi il Barolo Paiagallo di Giovanni Canonica, il Barolo Castiglione Falletto di Mario Fontana e il Barbaresco San Stunet, freschezza e tensione da brividi dalla vigna più alta di Piero Busso. Devo dirti che tra i comuni per me Serralunga è straordinario per la mineralità che sa donare a vini da aspettare ma che sorprendono. E poi a me, anche se pare scontato, piace Soldera, lo considero un vino stratosferico, ma le grandi emozioni mi arrivano dalla Langa. Se penso alla Borgogna e al Pinot nero ti dico Cecile Tremblay, Marc Soyard (che qui scopriamo appassionatissimo di Barbacarlo), la sua storia e il Domaine de la Cras, Domaine Bizot e il suo Vosne-Romanée e come non citare Prieure Roch! E che dire del Rodano e dei vini di Thierry AllemandEmmanuel Raynaud con Château des Tours, Château Rayas e Château de Fonsalette? Finiamo con la Loira e l’Anjou Les Nourissons di Stéphane Bernaudeau.


Arriviamo al rapporto tra vino e sport. Come coniughi la tua professione con la passione del bere?
Prima di tutto sono seguito da un nutrizionista e quindi è impossibile sgarrare o mentire, ho un piano nutrizionale ben preciso. Mi concedo il vino una volta a settimana nel giorno libero, due se i giorni liberi sono di più, e rigorosamente alla cieca. Invito amici a casa o ci ritroviamo in enoteca e ognuno porta una bottiglia che desidera fare assaggiare agli altri. Stiamo insieme, ci divertiamo e intanto assaggiamo. Posso dirti che ogni volta le sorprese sono tante perché facciamo parlare il vino e non le etichette.
Ora che con la Juventus giochiamo una volta a settimana ti direi che di solito il lunedì e il martedì sono giorni buoni visto che poi prima della partita passano cinque o sei giorni, l’anno scorso che giocavamo le coppe il giorno libero di solito era il solo giovedì. Il calcio per me ora oltre a un sogno realizzato è una passione che si è fatta lavoro dunque viene prima di tutto e, anche per quello che riguarda il vino, agisco con intelligenza e sensibilità. Quindi non mi ubriaco per intenderci, anzi, ti dico, mi piacerebbe tantissimo che si potesse bere all’infinito senza che l’ebrezza si trasformi in ubriachezza e si potesse continuare a restare lucidi ma contenti, perché è troppo bello continuare ad assaggiare, discutere, confrontarsi… purtroppo non è possibile e ci tocca fare attenzione. Poi per fortuna esiste l’estate dove posso rilassarmi e girare per le cantine.

E a me che sono un bevitore spinto cosa consigli?
Non sono un nutrizionista, eh. Fai sport e poi un bicchiere al giorno (hanno inventato il Coravin…) te lo puoi concedere, però lo sport devi farlo. (Ridiamo). Intelligenza e sensibilità, te lo ripeto, queste servono.

Per finire, pensiamo a bottiglie che chiunque può concedersi, che cosa consiglieresti?
Ognostro Bianco di Marco Tinessa, di certo il Barbaresco Mondino di Piero Busso e poi… il Grignolino del Monferrato Casalese di Tenuta Migliavacca, è sorprendente!

Io andrei avanti ore ad ascoltare e a confrontarmi con Mattia perché è appassionatissimo e in quel mood così sincero e vero che non può mentire, nel ritmo della voce quando si entra nel vivo della chiacchierata accelera, nomina più e più assaggi, conosce i vigneti, è rispettoso del lavoro di tutti ma quando trova terreno fertile si lascia andare a giudizi più che condivisibili, conosce davvero molti in questo mondo che alla fine è più piccolo di quanto si possa pensare.

Non voglio rubargli troppo tempo però, lo lascio ai festeggiamenti del compleanno e dimentico di dirgli:
– che sono tifosissimo della Juventus ed è stata una sofferenza non parlare anche di calcio;
– che ho provato per molti anni a dire che letteratura e teatro fossero le mie passioni principali… ma Pasolini insegna, davanti a una palla che rotola io comincio a correre;
– che l’unico modo per conoscere bene la passione di un uomo e stare a tavola con lui e bere insieme;
– che alcune cantine a me non rispondono nemmeno al telefono, ma è un piacere sentirle raccontare, eppure da Rayas, per esempio, ci pianterei la tenda.

[Pic Intravino nel pallone by Simone Di Vito. Tutte le altre vengono dal profilo Instagram di Mattia Perin]