Lo scorso 26 ottobre a Bologna si è svolto il X Forum di Wine Monitor.
Per chi non conoscesse, cito:
Wine Monitor è l’Osservatorio di Nomisma dedicato al mercato del vino, nato con l’obiettivo di aiutare imprese e istituzioni della filiera vitivinicola italiana a interpretare correttamente le dinamiche del mercato.
Questa decima edizione è stata intitolata “Trovare il bandolo della matassa”. Quel che sembra ovvio, dal titolo, è che evidentemente i mercati del vino stiano attraversando un momento se non difficile quantomeno incerto. E quello che bisogna dire è che stiamo tutti disperatamente cercando di capire cosa stia per succedere. Per cercare di farlo in maniera scientifica e serena abbiamo bisogno di quantificare. Abbiamo bisogno di dati.
In un interessantissimo speech intitolato “Mercato Italia: trend delle vendite di vino e comportamenti – attuali e futuri – del consumatore”, Emanuele Di Faustino, che di Nomisma è il responsabile industria, retail & servizi, ha presentato i dati di una ricerca sui trend futuri del vino in Italia, estrapolando dal dato totale quello relativo ad un particolare segmento di mercato, gli under 25, ovvero la cosiddetta Generazione Z.
I mercati sono tremendamente attratti, e spaventati, dal conoscere il modo nel quale questa nuova generazione (quelli che saranno cioè i consumatori del domani) si sta approcciando al mondo del vino.
Che cosa cerca un under 25 nel vino? Che cosa beve? E soprattutto, perché?
Sono queste le domande che tutti stanno iniziando a porsi.
Emanuele Di Faustino, per aiutarci in questo percorso impervio, snocciola una serie di dati veramente rilevanti che riportiamo nella infografica qui sotto.
Cerchiamo di dare un senso a questi numeri.
La cosa da sottolineare è che sembra incontrovertibile che la Generazione Z si approcci al vino in una maniera che possiamo definire quantomeno diversa rispetto alle generazioni che l’hanno preceduta. Questi ragazzi bevono di meno, e lo fanno tendenzialmente fuori casa (38% contro il 17% degli over 55). Sono molto attenti alla salubrità e alla sostenibilità ma non necessariamente alla certificazione biologica. Ma quello che stupisce davvero è che non gli importa molto se il vino che scelgono di bere venga prodotto da piccoli vigneron indipendenti, magari con la camicia di flanella, oppure da vitigni autoctoni ancestrali, magari scampati all’abbandono e recuperati grazie alla magia della innovazione/tradizione.
Cosa piuttosto rilevante poi – e questa fa veramente paura – è che il territorio, parola cardine sulla quale si è praticamente fondato quasi tutto il marketing vinoso contemporaneo, non interessi poi molto a questi nuovi bevitori. Quel terroir da tutti ormai poeticamente decantato sta perdendo appeal, e non è un più driver decisivo di acquisto. Possiamo dire che a molti di questi ragazzi, forse, il vino non sembri affatto una poesia della terra. A loro importa molto di più che il vino sia unico e prezioso, e gli attribuiscono decisamente più valore se a edizione limitata, e ancora meglio se frutto di una collaborazione importante tra produttori e brand del lusso o influencer.
La cosa che farà inorridire tutti i boomeroni del mondo enoico è che a loro non dispiaccia affatto immaginare di bere il vino… rullo di tamburi… mixato e dealcolato!
E qui immagino tutti i cavalieri e crociati del terroir svenuti e pronti alla pugna contro l’infedele. Purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista, questi cambiamenti bussano con forza alle porte di cantine, enoteche, ristoranti e wine bar. E se non volete dar credito a questi giovani sbarbatelli alle prime armi col vino, date una occhiata a cosa scrive uno dei più illustri critici enogastronomici del mondo, non sul giornaletto del liceo ma sul New York Times, quindi andando ben oltre il confine italico.
Un numero crescente di produttori fa fermentare insieme uva, mele e altri frutti o mescola vino e sidro per creare bevande affascinanti.
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Il futuro è già qui, sarà il caso di attrezzarsi.