Ho una smisurata passione per i rossi della Côte de Beaune: agli inizi degli anni Duemila, i vini lungo la strada che dal centro di Beaune va verso sud erano sicuramente più rustici, di carattere deciso, con qualche spigolo che da una parte ne accentuava il carattere ma dall’altra ne comprometteva un po’ la finezza, specie se paragonati ai fratelloni della Côte de Nuits. D’altronde, Chambolle-Musigny e Vosne-Romanée non sono proprio due comuni da niente e proprio da lì – insieme a Gevrey-Chambertin – arrivano alcuni dei vini più ricercati del globo.
Ciò che ho notato è che, con il progressivo aumento delle temperature dovute al cambiamento climatico, i vini di Pommard e Volnay (e non dimentico Santenay, di cui si parla troppo poco) hanno acquistato quel pizzico di rotondità che mancava loro, raggiungendo così una completezza che trovo splendida, mentre a nord di Beaune lo stesso fenomeno in alcuni casi ha contribuito a dare ai vini quell’opulenza lontana dall’immaginario comune di vini d’aria che li caratterizza.
Oggi parlerò proprio di Pommard e di un Domaine tra i più storici dell’intera Borgogna. Pensate che De Courcel nasce già nel XVII secolo e la famiglia, oggi rappresentata da Gilles, ha tutti i suoi cru all’interno del comune. La gamma è composta da quattro Premier Cru, un Village e due Bourgogne.
Ma vediamo un attimo i quattro Premier Cru di Pommard. Grand Clos des Épenots è un monopole di grande ricchezza, austerità e concentrazione e rappresenta buona parte della produzione del Domaine e si caratterizza per la sua maestosità, mentre Pommard Les Rugiens come classe a mio parere ha pochi eguali in tutta la Borgogna e questo raggiunge vertici difficilmente eguagliabili con frutto dolce tannini levigati e un ventaglio aromatico speziato molto dettagliato. Les Frémiers si caratterizza per un trama tannica più docile e sfumature aromatiche più delicate mentre Les Croix Noires trovo sia il più irruento e rustico di questo poker d’assi. Village e Bourgogne mediamente superiori alla loro classificazione.
Questi vini magici prendono vita grazie alle mani di Yves Confuron (proprietario del Domaine Confuron-Cotetidot a Vosne Romanee, ne parlai qui) che li vinifica nel rispetto della tradizione lontano anni luce dalle mode del momento ed in netta controtendenza rispetto ad un mercato che richiede vini sempre più pronti che sappiano di Pinot Nero ma che a suo avviso non sono Pinot.
Qua non c’è spazio per nessun lustrino e nessuna piacioneria ma la ferma volontà di fare vini che chiedono tempo per mostrare tutta la loro complessità e capite bene che, in una società che fonda la sua stessa essenza sul pronti-via, c’è quasi qualcosa di trasgressivo.
In buona sostanza, chi ha fretta si rivolga altrove.
La raccolta è ritardata il più possibile per cercare la piena maturità delle uve e dare quindi grande densità. Essendo lui un punto di riferimento assoluto della vinificazione a grappolo intero (le sue consulenze arrivano fino al Libano), i vini sono tutt’altro che pesanti anzi sono puri, dinamici e ricchi di energia, supportati da un profilo tannico inusuale che dona loro tensione e nobiltà.
Mi piace considerare Yves un amico, che come tutti coloro non inclini ai compromessi può risultare una persona non facile, sempre molto tranchant nei giudizi e certamente poco dedito al politicamente corretto. Diciamo che non lo vedrei bene come mediatore alle Nazioni Unite. Se una cosa non gli piace lo dice senza peli sulla lingua, motivo per il quale è un personaggio piuttosto divisivo.
Il mio arrivo da lui è un rito che si ripete sempre uguale, è una di quelle certezze necessarie in questa vita imprevedibile come una certezza è la sua coppola, che a stento nasconde uno sguardo che misto tra indolenza e ironia. “Ciao Yves”, e lo abbraccio mentre lui cerca di mantenere le distanze e di frenare i miei entusiasmi, poi si lascia andare e mi spara diretto come saluto un “Allooora”, prendendo in giro l’intercalare modenese che fa sì che dica questa parola ogni tre per due.
Si comincia a chiacchierare del più e del meno mentre prende i bicchieri.
Non ha alcun senso che io vi riempia la testa di descrittori di ogni singolo vino, non lo faccio con lui e non lo farò nemmeno con voi, ciò che importa è la sua idea e qua come in pochi casi (che piacciano o meno i suoi vini) è piuttosto chiara, ovvero fare vini di lunghissima prospettiva.
Frequento Confuron-Cotetidot e il Domaine de Courcel da tempo e tutti e due si piazzano sempre in cima alle mie preferenze nelle visite ma questa 2021 è una delle batterie più entusiasmanti mai assaggiate: vini pulsanti, elettrici e in alta definizione, di colore trasparente e brillante, in perfetto equilibrio tra frutto, spaziatura e mineralità. Ho trovato ogni calice qualcosa di travolgente con il Rugiens manco a dirlo che mi ha mandato al manicomio, tanto che non vedo l’ora di poter mettere le mani su qualche bottiglia: tranquilli comunque perché qua dove caschi, caschi bene.
Con me c’era un amico alla sua prima esperienza borgognona, che dopo una serie di visite pazzesche non ha potuto fare altro che capitolare davanti a questi vini e alla visione di Yves Confuron, che in uno dei passaggi più interessanti gli ha spiegato perché non sia d’accordo sul variare la percentuale dei rapi in base all’annata: “O cucini con l’olio o cucini con la panna! Se li usi entrambi fai solo del casino”.
Degustazione terminata con Grand Clos des Épenots 2018, potente quanto un cazzotto sul mento, ancora compresso, giocato su more di rovo, pepe e balsamicità, aperta perché nel parlare gli ho detto che la sua 2003 è una delle mie preferite e secondo lui questa 2018 con la giusta attesa potrà dare soddisfazioni ancora maggiori. Ovviamente dopo mi ha aperto pure la 2003 fitta e compatta con profumi di prugna, grafite e tabacco e una dolcezza di carruba a cui segue una bocca stratificata e lunghissima.
Prima di una cena insieme sulla Saona, ha tappato le bottiglie e me le ha consegnate così ci è toccata la sfortuna di finirle il giorno dopo su una panchina con un po’ di formaggi brindando alla salute di quello che per me è un genio assoluto.
Che questi vini mi piacciano è un dato di fatto e lo è altrettanto che non per tutti sia così: vini forse poco contemporanei ma di fronte a tanta bellezza chi se ne frega dell’attualità. Alla fine i classici non passano mai di moda, e se non lo avete ancora fatto io vi consiglio di assaggiarli perché vini di questo stampo e con questo disegno stanno scomparendo.
Non lo sai ancora, caro Yves, ma credo ci si vedrà a dicembre.
[Foto cover: Lea & Sandeman. Il Pommard Le Grand Clos des Épenots viene da Old Wine Club]