Devi conoscerlo, un imperativo a cui è difficile scappare quando a ripeterlo sono gli amici che più stimi come produttori e trafficatori vari di vino. Il mio primo approccio con Gabriele Merlini è seguito a questo ripetuto comando, accompagnato a motivazioni che vanno da è uno che ha un approccio laico in un mondo ridondante dei propri tic, a è uno di quelli di cui è bene che ti segni il nome ora, perché a breve farà cose grandi, fino a a volte ti fa rabbia perché è il classico studente brillante che sembra non studiare, ma poi prende tutti voti alti. La cosa che più mi ha incuriosito è quel “sembra non studiare“, quella che più mi è piaciuta è “ha un approccio laico“, così, appena ho potuto, ho colto la palla al balzo per conoscerlo.
Gabriele Merlini non ha ancora 30 anni ed ha iniziato a lavorare nella distribuzione di vini che ne aveva appena 24. Sta sulla piazza di Roma, ma è cecinese di nascita e si porta dietro quella parlata che tradisce una rilassatezza da costa livornese, sotto cui però si muove evidentemente una passione che lo agita non poco. Prima per il teatro e la recitazione, oggi… beh oggi a teatro ci porta il vino, con Vignaioli in scena, format ideato insieme a Marco Arturi, e messo in cartellone al Teatro Basilica a Roma. Sul palco, invece degli attori, ci sono vignaioli naturali che come sceneggiatura usano il racconto delle proprie esperienze tra vigna e cantina. Ma se la passione per il teatro rimane viva, ancor più vivace è l’attività della sua Merlini Distribuzione, che pare essere una delle cose più interessanti che son capitate alla Roma del vino negli ultimi anni e, se posso dire, di cose interessanti nella Roma del vino ne sono capitate parecchie (forse negli ultimi tempi, anche più che a Milano).
Se tutto questo è la mera sintesi per inquadrare il contesto, la storia di questo ragazzo è ben più affascinante di quanto non dica ciò che è riuscito a realizzare. Quando gli chiedo ma tu come hai iniziato col vino?, la risposta mi spiazza per la semplicità delle parole e la trama di un romanzo di John Fante.
“Avevo 19 anni e vivevo a Lisbona con la mia ragazza, quando lei rimase incinta. Per questo ho iniziato. Perché dovevo lavorare e così… torniamo in Toscana e io trovo un posticino in una enoteca di Bolgheri. Fu un’estate molto bella per tanti motivi, come puoi capire, tra gli altri io mi appassionai di vino ed il titolare dell’enoteca mi dava tanta fiducia, mi faceva assaggiare molto, mi lasciava spazio per crescere ed io ripagavo mettendo grande entusiasmo nel lavoro. Nel giro di poco conosco bene la scena bolgherese, i vini e… inizio anche ad occuparmi un po’ della vendita ad importanti clienti stranieri (russi, americani, cinesi). È lì che inizio a imparare cosa vuol dire davvero vendere il vino, raccontarlo, dargli valore, farlo sentire il vino giusto per chi hai davanti.
E e poi la crisi. Finisce la storia con la mia compagna ed io sono a pezzettini. Sono esattamente un cumulo di pezzi da rimettere in ordine e per farlo vado… nella città più dispersiva che conosco: Roma.”
Ho fatto tante volte la domanda come hai iniziato col vino, ma nessuna che ricordi mi ha spiazzato più di quella ricevuta da Gabriele. Che continua …
“Ho deciso di andare nella città più dispersiva del mondo o comunque sicuramente la più dispersiva d’Italia e di ritrovarmi là. All’inizio l’idea era quella di fare teatro, perché fin da adolescente era la mia passione, avevo fatto delle piccole esperienze, avevo avuto una piccola compagnia. Più in generale sentivo che era una cosa che mi rendeva migliore.
Arrivo a Roma e trovo una situazione molto bella, conosco gli amici, anzi la mia famiglia… perché la mia famiglia sono i ragazzi del teatro Basilica. Una compagnia, il “Gruppo della Creta”, che fa spettacoli bellissimi e… per me è come se facessi parte di quella compagnia. Ma insomma sono a Roma e ancora sono in cerca di me… nel mentre però completo il corso da sommelier e incontro una ragazza che veniva da esperienze molto diverse dalle mie, ma anche lei era a Roma per ritrovarsi.
Aveva vissuto in Cina, in Australia, aveva lavorato con il vino e quindi decidiamo di provare ad esportare piccole cantine di vino naturale in Cina. Giusto il tempo di capire che non era alla nostra portata e apriamo una distribuzione a Roma. Investimento iniziale 5mila euro e un magazzino di 2 metri quadrati. Iniziamo insieme questo percorso, poi lei si rende conto che la vendita non era quello che le piaceva… ed in effetti il mercato ci ha messo un po’ prima di accettarci… certo eravamo molto giovani, quindi magari era facile prenderci poco sul serio. Ma insomma lei cambia vita, va a vivere nella Tuscia e cambia totalmente vita. Io invece insisto. Prendo un sacco di schiaffoni, inciampo, sbaglio, ma… ma un poco alla volta riesco a trovare lo spazio per affermare la mia distribuzione.
Questo coincide con il momento in cui in qualche modo abbandono il teatro e decido di viverlo in modo diverso da quello che è magari viverlo professionalmente, ma di viverlo come appassionato e di portare a teatro dei contenuti che siano più legati a quello che faccio, cioè al vino. E oggi… oggi sono qua.”
In questi giorni Gabriele e alle prese con l’organizzazione di una nuova cosa interessante, che si chiama Jamming Roma e che promette di essere un bel caos creativo. Riprendo dal sito Zero.eu: Le distribuzioni Merlini, Kippis e Abere si danno appuntamento il 6 novembre alla Cartiera Latina (via Appia Antica) per una jam session domenicale a base di vini naturali, coinvolgendo più di ottanta vignaioli provenienti da tutto il mondo. Una volta chiusa la jam, le bevute proseguiranno in diversi locali di Roma, ognuno dei quali ospiterà quattro diversi vignerons.
Parlo da piccolo (piccolissimo) produttore adesso e specifico che io e i miei pards non abbiamo mai partecipato ad alcuna manifestazione di vino naturale da quando abbiamo iniziato. Per vari motivi, tra questi ci sono le nostre tasche bucate, ma anche una certa diffidenza verso il mondo del vino naturale e certi suoi canoni e cliché che troviamo limitanti. Dai però stavolta venite, parla con Gabriele e vedrai che ti verrà voglia di esserci, detto e fatto. Chiamo Gabriele… e mi viene voglia di andare a Jamming Roma, non solo, ma dalla chiacchierata che abbiamo fatto è venuta fuori un’intervista (frutto di taglia-e-cuci tra tanti vocali su whatsapp e che ho riportato mantenendone il tratto raw) piena di spunti, tanto più preziosi perché sono quelli di chi opera su un fronte che sta a metà fra i produttori e i consumatori.
Dal tuo punto di vista, quello di una distribuzione su una piazza importante come quella di Roma, come sta il vino naturale oggi?
“Oggi il vino naturale sta bene, nel senso che gode di un’attenzione, una centralità, all’interno del dibattito enogastronomico e non, che secondo me è… anzi che è sicuramente è senza precedenti.
Possiamo dire che tutte le rivendicazioni portate avanti vent’anni fa in quel famoso manifesto, sono state accolte da tanti nuovi consumatori e oggi possiamo tranquillamente dire che sono più le grandi aziende, anche industriali, convenzionali, che guardano al vino naturale e che cercano di prendere ispirazione da un modello di successo come quello, per poterlo in qualche modo inglobare e potersi rinnovare.
Possiamo anche dire che i vignaioli naturali hanno svolto un ruolo rivoluzionario di opposizione ad un sistema che aveva delle regole che era opportuno sfidare e provare a cambiare. Quando però un’opposizione ha successo, può trovarsi nelle condizioni di dover stare al governo. E la cosa non è banale, perché credo si debba ammettere che è più facile stare all’opposizione che stare al governo.
Per quanto riguarda i trend, diciamo che l’aspetto secondo me bello e positivo è che oggi non esiste un luogo dove si beve vino – dal circolino ARCI al ristorante stellato – che non abbia in carta una proposta di vini naturali e che spesso il meglio dell’enogastronomia, soprattutto nelle città, ha scelto il vino naturale come ambasciatore di bellezza, di gusto e di sostenibilità.
Dall’altro lato, credo si possa dire che… una cosa che secondo me penalizza un po’ il consumatore è che il vino naturale è diventato una forma di consumo vistoso, nel senso che a volte siamo più interessati a dire, ad esibire, a mostrare che beviamo naturale, piuttosto che effettivamente poi a sapere cosa c’è dentro il bicchiere, come viene fatto quel vino, quali sono i valori che quella bottiglia porta con sé, se effettivamente ne ha o no… Diciamo che c’è una grande fascia di consumatori che ha abbracciato questa tendenza magari con entusiasmo, ma senza senza le premesse necessarie e che quindi tratta in modo un po’ superficiale il consumo… penso al fatto che tanti, tantissimi amici e coetanei hanno bevuto tutto il Jura immaginabile, ma non hanno bevuto una bottiglia di Chianti Classico nella loro vita. Questa, secondo me. è un’abitudine che in qualche modo dovremmo superare. Sia per slegare i territori e le tradizioni dalle ondate delle mode e anche per una questione di vera sostenibilità rispetto alla prossimità dei luoghi e all’approvvigionamento, non solo nel fare vino, ma in tutta la filiera.”
E come stava il vino naturale 5 anni fa?
“Tu conta che io in 6 anni ho iniziato questo lavoro di distributore, passando da essere un bevitore a un professionista.
E quello che ho notato 6 anni fa, quando ho deciso di cominciare l’attività di distribuzione, è che se volevo lavorare col vino, il vino naturale era quello su cui investire, sia perché era più affine a quelli che erano i miei gusti e sia perché l’attenzione che stava nascendo intorno al vino naturale era enorme… anche se c’era ancora una grandissima confusione tra vino naturale, biologico, biodinamico… c’erano tutta una serie di incongruenze, di risposte sbagliate a domande sbagliate, però, si sentiva che il vino naturale avrebbe ricoperto un ruolo centrale, anche perché il mondo, al di là del vino, sta andando in una direzione che è quella di una nuova attenzione alla terra.
Il vino naturale si inserisce benissimo in questo contesto. E poi c’erano dei produttori di grande personalità che in qualche modo riuscivano a trainare dietro un movimento importante e infine il vino naturale, al contrario del vino convenzionale, era molto meno elitario o comunque dava l’impressione di essere un qualcosa alla portata di tutti. Poi, se andassimo veramente a fare i conti con questa cosa, ci renderemmo conto che il vino naturale non è proletario, ma è borghese tanto quanto il convenzionale. Però, ecco, cinque anni fa si sentiva che c’era una grande energia rispetto a questo movimento e che da lì a poco sarebbe diventato centrale. Sarebbe diventato un modello di riferimento per il vino in generale.”
E secondo te come starà fra 5 anni?
“Fra cinque anni… non so neanche dove sarò io fra cinque anni!
Ma quello che posso dire è che sono un po’ preoccupato per il fatto che l’offerta di vino naturale stia crescendo in modo esponenziale e che se anche oggi ci ritroviamo in una situazione in cui ci sentiamo in qualche modo su un carro dei vincitori, ci sentiamo di aver comunque conquistato un ruolo centrale in quello che è il mercato del vino, della ristorazione.
Il mio timore è che forse questa crescita enorme dell’offerta poi non non abbia effettivamente un riscontro in quella che è la domanda… che sì è in crescita, ma che in qualche modo non sta crescendo alla stessa velocità dell’offerta.
Quindi la mia paura è che fra cinque anni o fra due rischiamo di trovarci le cantine piene di vino e i conti in banca vuoti, sia perché la situazione anche socioeconomica, geopolitica, sanitaria… insomma è una situazione totalmente instabile.
E quindi alla fine non lo so dove dov’è che stiamo andando. So che se continuiamo ad andare a questa velocità qualcuno rischia di farsi male.
Questo penso sia indubbio.”
Quel che i produttori naturali fanno, fanno bene e fanno bene a fare?
“Beh… è difficile fare un discorso generale.
Però ecco una cosa che io trovo molto bella e affascinante del mio lavoro è che la qualità degli incontri che ho con i produttori è molto alta, perché spesso mi ritrovo al tavolo o sul divano o al camino o in vigna con persone con cui si può parlare benissimo di vino. Ma si può parlare benissimo di qualsiasi altra cosa che mi mi piace.
Il fatto che per molti arrivare a fare vino sia un punto di arrivo dopo tutta un’altra serie di vite passate che comunque poi confluiscono in quella volontà di fare vino, di costruirsi un’alternativa rispetto a quello che erano stati.
Quindi un pregio di certi produttori di vino è che hanno scelto il cambiamento. E questo è particolarmente vero per i produttori di vino naturale, perché parliamo di un mondo che non si fonda poi sulle tradizioni, sul fatto che si fanno vino da dieci generazioni e non potevano fare altro, ma si parla di persone che decidono di fare vino, decidono di recuperare delle vigne, decidono di mettersi in gioco con qualcosa che inizialmente era semplicemente una passione.
Quindi questo forse è l’aspetto più interessante e più bello. Cioè la qualità delle persone che fanno parte di questo mondo.
E alla fine… il fatto che grazie al vino naturale si passano tanti bei momenti!”
E quel che i produttori naturali fanno, ma forse farebbero meglio a non fare?
“Allora io te ne indico un paio, che sono entrambi legati a quella che è la sfera commerciale.
Il primo secondo me è che spesso molti produttori non percepiscono la realtà per quello che è, cioè ovvero sono convinti che tutto il mondo in qualche modo ruoti intorno ai vini che producono, quando spesso il mondo se ne frega o comunque siamo talmente bombardati di stimoli che passiamo da una cosa all’altra davvero rapidamente e quindi spesso manca da parte del produttore anche l’umiltà, la disponibilità a investire sul proprio marchio e a fare delle operazioni che in qualche modo aiutino a ricordare continuamente al consumatore che loro sono presenti e che, insomma, ci sono.
Questa cosa, secondo me, è legata molto anche al fatto che negli ultimi anni abbiamo insignito i produttori forse di un’attenzione un po’ eccessiva, cioè spesso li abbiamo trattati come delle vere e proprie rockstar. Abbiamo mitizzato alcuni produttori talmente tanto che poi forse loro hanno anche ragione a sentirsi in qualche modo superiori, rispetto a tutte quelle che sono le dinamiche commerciali e che comunque tutto il mondo, se loro stanno fermi, poi andrà da loro. Cioè della serie se Maometto non va alla montagna, la montagna andrà da Maometto. Ma oggi nel 2023 è rischioso, secondo me, come pensiero.
L’altro errore, sempre di natura commerciale, secondo me, risiede nel fatto che molti produttori hanno poco controllo sui mercati, vale a dire che iniziano a fare vino, esportano il novanta novantacinque percento del proprio vino. Buon per loro, ma comunque questa cosa è rischiosa, nel senso che i mercati esteri sono per natura più volatili di quelli territoriali. È chiaro che sul territorio uno può fare un lavoro che è sicuramente più in prospettiva rispetto a quello che si può fare all’estero, dove ti chiama un importatore, tu gli mandi il tuo vino e poi l’anno dopo speri che ti richiami. C’è una fidelizzazione diversa sui mercati esteri e il fatto che i produttori non si rendano conto che investire sul mercato di appartenenza sia importante secondo me è un grosso errore, perché da una parte io capisco la necessità di vendere e incassare rapidamente, dall’altra penso che fare vino sia comunque un progetto di vita a lungo termine. Non è mai qualcosa che si concretizza in un tempo breve, cioè non è in un anno o due che si decide chi ha un’azienda. E spesso molte aziende si dimenticano che per diventare importanti per crearsi un pubblico di fedeli appassionati ci vogliono molti anni.”
Marco Arturi e Gabriele Merlini (screenshot da video di wining.it)
Cosa rimarrà e cosa verrà superato del mondo del vino naturale che conosciamo oggi?
“Dunque io non so cosa rimarrà e cosa se ne andrà. Però ti posso dire cosa spero che rimanga e cosa spero invece che piano piano scivoli via. Sicuramente tra le cose che spero rimangano è comunque la centralità del discorso agricolo all’interno del vino, nel senso che fare vino è prima di tutto fare un prodotto agricolo … in questo senso se ne potrebbe andare un po’ di mistificazione sul fare vino nel garage con le uve trovate chissà dove e quindi fare di mestiere i cercatori d’uve. Cioè mi piacerebbe che fare vino continuasse a essere: prendersi cura di una vigna e portarla a vendemmia e poi fare la fermentazione e produrre il proprio vino.
Per quanto riguarda le cose che spero che se ne andranno, io spero che se ne vada un po’ questa questa voracità, che in qualche modo si plachi questa sete di novità continua e che si ritorni anche a un a una fase in cui i punti di riferimento sono lì, sono importanti e ci servono per organizzare il nostro mondo e anche per poterlo vivere in modo profondo. Quindi spero che un po’ di superficialità se ne vada e che i produttori del futuro abbiano maggior rispetto di ciò che fanno e per quanto riguarda i consumatori che smettano di vivere il vino come un album di figurine da completare, ma che entrino davvero nel vivo di ciò che che bevono e di ciò che fanno quando acquistano una bottiglia di vino.”
E i prezzi? Sono coerenti, oggi, con quello che ritieni lo scenario del vino in generale e del vino naturale in particolare?
“Questo è un tema bello delicato, nel senso che io mi ricollego a quello che ho detto prima su questa incoerenza che percepisco tra l’aumento esponenziale dell’offerta e un aumento comunque più calibrato della domanda. Per quanto riguarda i prezzi, abbiamo visto negli ultimi cinque anni i prezzi crescere in modo vertiginoso. Parlo di vini che sono arrivati a costare il doppio, il triplo, il quadruplo. Ci sono alcune zone che sono diventate impossibili da acquistare. Sì il tema prezzi è molto spinoso, nel senso che da una parte io comprendo l’esigenza dei produttori comunque di far tornare i propri conti, dall’altra credo che serva coesione e che serva comunque unità nella filiera, per trovare una soluzione che in qualche modo non renda il vino naturale o il vino in generale un prodotto estremamente elitario e quasi inarrivabile.
Quindi la mia speranza è che ci sia un attimo anche… mhmm un rallentamento rispetto a quelli che sono gli aumenti. Perché l’impressione che ho io è che i consumatori che bevono vino naturale non abbiano la forza per assorbire tutti questi aumenti e quindi si ritorna al tema del cantine piene e conti vuoti“.