Agosto 2023, compare su un quotidiano nazionale un articolo con un titolo che nel suo stile ha il tono di uno strillone. Infatti riesce nell’intento. Leggo e da subito non mi piace il registro, e non mi piace questa operazione che così presentata ha il sapore di una provocazione fine a se stessa: un vino sardo, anzi un Vermentino, è il bianco “più caro d’Italia”: Disco Volante, azienda Concaentosa, sul mercato 1.300 €/bottiglia. Questa la notizia. By-passo i commenti sui social e anche qualche articolo apparso nei quotidiani locali nei giorni successivi. Ma intanto penso che abbiamo un problema o almeno due: uno di ordine mediatico, l’altro – più importante – di sostanza.
Ottobre 2023, è solo questione di tempo e anche i commenti ai fatti sono diversi come le sfumature che qui in Gallura, al netto del chiacchiericcio estivo sugli scontrini, assumono i luoghi e le persone in autunno, a stagione finita. Bisogna capire bene le parole usate per quella notizia e capire anche la scelta commerciale che inevitabilmente porta alla più immediata e banale delle conclusioni: marketing in grande stile. Ma intuisco che è troppo semplice e infatti non sarebbe onesto chiuderla cosi.
Io e Emanuele Ragnedda non ci conosciamo. Recupero il suo contatto e lo chiamo mentre sta preparando un suo intervento come ospite all’Università di Sassari, nell’ambito del corso di Strategia e governo di impresa, presso il Dipartimento di Scienze Economiche dell’ateneo. Mi accoglie a Concaentosa, la sua tenuta nell’entroterra di Palau a nord di Arzachena: una radura circondata da rocciai granitici e conche frutto di millenni di attività erosiva. Lo sguardo si allunga fino al mare, sull’arcipelago della Maddalena.
La tenuta, quasi interamente coperta di macchia mediterranea, ricade su un’area di rilevante interesse archeologico, crocevia di geografie umane antichissime. Un luogo con una forte matrice identitaria; la sua bellezza annichilisce. Qui si trovano i cinque giovani ettari vitati, messi a dimora su una superficie che già ospitava la parcella di un piccolo vigneto di famiglia. È solo l’inizio di nuova storia.
Emanuele è figlio di Mario e nipote di Fabrizio Ragnedda, due fratelli che hanno cambiato il destino del Vermentino con Capichera (di cui sono stati fondatori ed ex proprietari), lanciando qualche decennio fa la Gallura vinicola nel panorama internazionale.
Ma il salto generazionale c’è tutto e si sente nelle parole convinte e lucide delle sue posizioni. Responsabile commerciale nella precedente azienda di famiglia, conosce molto bene le dinamiche dei mercati. Ha contezza delle carte vini dell’alta ristorazione, nazionale ed internazionale, e sa come sono posizionate le etichette sarde. E non sono affatto posizionate bene secondo il suo parere, non come dovrebbero se si riflette sul valore della storia produttiva sarda.
Convengo con lui ma mi chiedo se sia sufficiente far leva sul prezzo per emancipare la produzione dei bianchi sardi a un livello tale. Intanto, mi viene in mente la storia di quel misconosciuto vino piemontese che un giovane Angelo Gaja proponeva nelle enoteche di New York agli inizi degli anni ’70, sentendosi dire che era troppo caro. Gaja ha avuto la perseveranza di giocarsi la carta più “scandalosa” nella sua narrazione commerciale: il prezzo. Ma ha anche fatto un lavoro rigoroso sulla produzione. Oggi sappiamo come è andata a finire.
Chiedo a Emanuele di provare a disinnescare una delle parole apparse nei titoli dei quotidiani, scandalo appunto. Cosa è davvero scandaloso in un libero mercato dove già esiste un segmento, con cui lui stesso tiene e ha tenuto relazioni commerciali, già pronto ad accogliere etichette come queste? Potrebbe aver ragione lui, nulla.
Il vino è un prodotto e come tale si muove con le dinamiche che sono quelle economiche, fatte di segmenti, di target, di clienti altospendenti o meno. “Negli hotel qui in Costa Smeralda ci sono suite da decine di migliaia di euro a notte e nessuno grida allo scandalo, perché un prodotto del nostro territorio che nasce in un entroterra millenario, con una storia ricchissima, dove vivono comunità di uomini e donne che hanno capacità e competenze non dovrebbe avere un valore economico altrettanto importante?”, aggiunge Emanuele.
Ma come si misura una scelta di questo tipo con il beneficio consistente che dovrebbe ricadere poi su tutta la filiera e sul territorio? Per esempio, lui acquista le uve da conferitori che sono i suoi partner commerciali locali. Vignaioli che stima e a cui riconosce il valore economico straordinario delle loro uve: in Gallura a San Leonardo (l’areale storico del Vermentino), nel Mandrolisai per i rossi. Su questo aspetto insiste: il riconoscimento economico della materia prima non può e non deve essere alienato nelle produzioni di qualità, è il primo gradino, quello fondamentale nelle politiche di prezzo. Con molta onestà non esita a ribadire che il vino si faccia soprattutto in cantina. È ovvio che le uve debbano essere all’altezza di una lavorazione dove non c’è margine per le sbavature tecniche. La qualità non si può discutere se ci confronta soprattuto con i mercati internazionali, quelli più competitivi.
A questo punto, da operatrice del settore in questo territorio mi chiedo in prima persona: siamo pronti con la nostra produzione (a mio avviso ancora troppo eterogenea), a perseguire la sfida coraggiosa e magari anche politica intrapresa da Concaentosa? Sebbene si registri una crescita qualitativa interessante negli ultimi anni, resta sempre ancora poco definita quella matrice riconoscibile e riconosciuta che una regione vitivinicola sa esprimere con consolidata consapevolezza.
E qui arriviamo alla seconda “parola-grilletto” chiamata in causa nell’eco mediatica scatenata intorno al prezzo di questo bianco: dignità. Nella triade vitigno, territorio e uomo, Emanuele riconosce all’uomo la percentuale più determinante, compresa le dimensione morale. E cosa restituisce dignità alle comunità e ai suoi territori se non la capacità di compiere scelte di campo che richiedono prospettiva condivisa e attaccamento fiero alle proprie risorse? Il punto sarebbe proprio questo: cosa condividere? Su cosa vogliamo puntare per gli anni che verranno, sul volume o sul valore?
Per esempio, per la sola denominazione DOCG Vermentino vengono prodotte quasi 6 milioni di bottiglie all’anno, su una superficie di 2.500 ettari vitati (fonte: Consorzio del Vermentino di Gallura DOCG, 2022). Il prezzo di un Gallura varia dai 10 ai 30 euro bottiglia enoteca/e-commerce (fonte: Trovino.it); private label in GDO/Discount sotto i € 4,00 (rilevazione del 18/10/2023). Il prezzo medio ettolitro all’origine è di € 215/hl. Fra i bianchi italiani, oltre al Prosecco, i piemontesi sono i più quotati, su tutti il Roero Arneis con € 310/hl (fonte: Ismea, settembre 2023), 900 ettari vitati e una produzione di 6 milioni di bottiglie l’anno. L’esempio Arneis è interessante e ci fa ragionare sul fattore tempo: quanto tempo ci vuole perché un area vitivinicola o denominazione raggiunga il pregio che merita sui mercati? Il valore intrinseco non basta. Dipende molto dagli attori che operano in quel settore: possono accelerare o rallentare anche pesantemente il processo. Non marginale è il ruolo dell’autopercezione per (pro)porsi con la veste più congrua possibile.
Degustiamo nello stazzo Concaentosa le due annate prodotte di Disco Volante: 2021 e 2020. L’etichetta deve il nome a un monolito prenuragico presente nella tenuta, che si pensa sia un antico strumento di misurazione astronomica. Mi soffermo sulla prima annata assoluta, la rara 2020: nata da una piccola massa separata per necessità di cantina, ha maturato seguendo un percorso tutto suo, imprevisto e sorprendente. Impatto olfattivo molto fine con delicate note da evoluzione in bottiglia. Il sorso è vivace, dinamico ed esprime il suo carattere dominante: un elegante equilibrio fresco-sapido, elettrico come piace definirlo al produttore, di importante persistenza gustolfattiva aggiungo io. Di fatto ha qualcosa di estremamente attraente che la 2021 non possiede, pur essendo un’ottima annata. Lo accompagno con uno spuntino estemporaneo che lo stesso padrone di casa ha cura di preparare per me: uova al tegame con funghi freschi al burro e fette di pane tostato. Un abbinamento anche questo imprevisto e sorprendente. Disco Volante rappresenta il top di gamma delle cantina. Le altre etichette si collocano comunque su una fascia ultra-premium.
La visione di Emanuele Ragnedda potrà non essere condivisa da tutti i produttori ma è ponderata. “La Sardegna dovrebbe esse capace non solo di produrre bene, ma di godere di prestigio dal punto di vista del valore economico del prodotto vino. Con un Vermentino a 7 euro, non ci possiamo riuscire”, conclude.
Ritorno su Angelo Gaja, che in un post di qualche anno fa indicava, fra i tre cambiamenti più significativi degli ultimi anni per il vino, l’acquisizione sempre più rilevante di status di bene di lusso, e bollava come perdente “la vecchia strategia rinuciataria del prezzo basso”.
“A cosa serve il marketing? A fare sì che un bene venga preferito ad un altro non tanto per il rapporto qualità/prezzo, quanto per altri valori apprezzati dal consumatore: aver conosciuto il produttore, condividerne i progetti, riconoscerne la dedizione alla qualità…”
(Angelo Gaja, Intravino, 13/09/2017)