Quando sono partito per raggiungere Alessandro Salvano in quel di Montelupo Albese e conoscere la realtà di DWNL (Drink Wines Not Labels, bevi vino non etichette) il primo pensiero è stato il Rocky Horror Picture Show e il “Don’t judge a book by its cover” di Frank N Further che mi sono canticchiato per tutto il viaggio, il secondo è stato: ok, ma DWNL è essa stessa un’etichetta. Come la mettiamo?
Tutti abbiamo almeno un amico che beve solo certi vitigni, solo certe zone, solo certi punteggi o certe guide, e che griderebbe al complotto se colto in fallo ad apprezzare un vino “minore” servito alla cieca. Il mondo ne é pieno. Ma tutti abbiamo anche almeno un amico che non beve gli stessi vitigni, zone, punteggi e guide in segno di sfida, di rivolta, al grido di “il mio falegname con trentamila lire la fa meglio!”. Non è semplice dire chi sia il più pollo. La domanda però è: un produttore di vino, detentore di un’etichetta, è il personaggio più adatto a far passare il messaggio “drink wines not labels“? La risposta alla domanda è arrivata prima di aver l’occasione di porla. Spoiler: a volte sì.
Siamo a Montelupo Albese, comune di meno di 500 abitanti ad un tiro di schioppo dal castello di Serralunga d’Alba.
E proprio da qui nasce il messaggio di DWNL. La DOCG del Barolo nasce nel 1980 (sebbene le prime delimitazioni, ancorché non ufficiali, siano precedenti), e quel giorno fu tracciata una linea immaginaria che delimitò un “dentro” e un “fuori”, separò il “degno” dal “non degno”, con ovvie ricadute a livello soprattutto economico per chi da quel momento ha potuto vendere uva e vino a prezzi maggiori, e di conseguenza ha potuto investire di più e continuare a crescere. Il senso di ingiustizia è dipinto in modo palese sul volto di Salvano, e in fondo è comprensibile: chi ha perso una partita per un tiro da trenta metri al novantaquattresimo sa di che parlo. Lo scopo di Alessandro Salvano però non è mettere in discussione la denominazione principe, questo lo sottolinea più volte, ma proporre un messaggio: “provate a bere vini che si fanno appena fuori, con esposizioni simili, terreni in alcuni casi simili, e giudicate senza farvi influenzare dall’etichetta”. Il messaggio è forte e chiaro, e pure condivisibile, con un “ma”.
Se appartieni ad una denominazione importante parti avvantaggiato: i tuoi vini costeranno di più a prescindere dalla qualità, e ci sarà in generale una propensione favorevole nei giudizi. Ma quell’aurea mistica di superiorità non è spuntata un bel giorno come un fungo in un bosco, è stata costruita e mantenuta in decenni di grandi vini, e un vino “di confine”, che se raccontato bene (e i vini DWNL lo sono) è già cool non ha in ogni caso scorciatoie verso la grandezza.
DWNL nasce nel 2019 come progetto indipendente, partendo da zero, senza una cantina e senza vigneti. Fino all’annata 2022 infatti tutti i vini sono frutto esclusivamente di uve acquistate nel comune di Montelupo Albese (principalmente dallo zio) e la produzione stessa è avvenuta nelle cantine di Bruna Grimaldi (Grinzane Cavour) e Giorgio Sobrero (Montelupo Albese). Ora Compagnia dei Caraibi – distributore e importatore principalmente di distillati e di vini naturali attraverso il catalogo Elemento Indigeno, curato proprio da Salvanoa – attraverso la società “Have Fun” (partecipata al 75% dalla Compagnia stessa e al 25% da Salvano) sta acquistando i terreni e piantando nuove viti, ed è in progetto la costruzione di una cantina di proprietà.
I cardini della vinificazione di DWNL sono: grappolo intero sempre e comunque, lieviti indigeni, nessuna chiarifica o filtrazione e il più basso uso possibile di solforosa. Da quest’anno è infine iniziato il percorso di conversione al biologico. Le circa 2000 bottiglie della prima annata (2019, 1100 Langhe Nebbiolo
e 933 outisde) sono raddoppiate nel 2022, e i numeri sono destinati ancora a crescere grazie ai recenti acquisti.
Tutte le bottiglie hanno la medesima etichetta, con molto bianco e una sola scritta, drink wines not labels, in diverse lingue: inglese per il nebbiolo, spagnolo per il dolcetto, francese per lo chardonnay e giapponese per il pinot noir.
La degustazione tra i filari, con vista (non certo casuale) sul castello di Serralunga, così vicino eppure così lontano, è stata l’occasione per capire meglio il pensiero di Salvano e la sua storia.
Chardonnay 2022
Fino all’annata 2021 su tutti i vini, e dalla 2022 solo per lo chardonnay, viene utilizzato il pied de cuve: un po’ di uva viene vendemmiata in anticipo, pigiata in mastelli messi al sole, nei quali inizierà a fermentare. Questo “vino” sarà poi unito al resto dell’uva per “indirizzare” la fermentazione in modo più naturale.
La macerazione (8 giorni) a grappolo intero, la fermentazione (anche malolattica) e l’affinamento sono svolti in acciaio.
Il colore è dorato, che vira leggermente sull’arancione, e l’assenza di filtrazione lo rende non perfettamente limpido.
Al naso note fresche di tè verde e incenso, miele e mela golden molto matura, al limite del cotto.
In bocca è sapido, fresco e di buona struttura, piacevole e con un bel finale lungo.
L’unico dubbio è sulla tenuta per via di quella nota al naso di mela cotta, che non pregiudica la freschezza, che oggi non disturba, ma domani chissà.
Dolcetto 2022
Accanto al piccolo frutto rosso (mirtillo e fragolina) una nota vegetale leggera e una bellissima liquirizia, poi petali di garofano e un pizzico di pepe. Bocca tesa, leggermente vegetale, con un bel tannino vispo ma fine. Sapido, con una bellissima beva, qui la presenza del raspo intero esce in modo deciso ma è uno dei dolcetti più convincenti bevuti di recente.
Salvano racconta che un giorno in un noto ristorante di Alba, un suo amico gli presentò un produttore delle Langhe. Quando alla domanda “in che zona sei?”, Salvano rispose “Montelupo”, si sentì ribattere, in modo quasi sprezzante “a Montelupo si fa il dolcetto, non il nebbiolo!”. Non so chi fosse quel produttore, e credo che Montelupo Albese possa essere tranquillamente dimora di nebbiolo, ma il dolcetto di DWNL è, a mio avviso, il vino più riuscito della batteria.
Pinot Noir 2022
Naso di fragola e cioccolato, frutti rossi più piccoli e freschi e leggeri toni balsamici. In bocca la struttura è tanta, forse un po’ troppa. Salvano, nel suo continuo percorso di crescita ci racconta come la vendemmia del pinot noir nel 2022 avvenne un po’ in ritardo, da qui forse la mancanza di slancio che ci si aspetterebbe. La materia prima c’è, con qualche anno di esperienza migliorerà di sicuro.
Nebbiolo 2022
Profilo aromatico classico e fine. Petali di viola e rosa, fragola, una leggera nota vegetale che non snatura. La struttura è moderata, fresco e soprattutto sapido con un tannino fine e persino delicato per essere nebbiolo. Anche in questo caso la vinificazione a grappolo intero non sembra connotare in modo particolare il vino che è indubbiamente riconoscibile.
Nebbiolo 2019 (con circa il 4% di dolcetto)
Ci racconta Salvano, in modo molto onesto, come il primo anno fosse impaurito dalla fermentazione spontanea (comunque il suo obiettivo) e temendo di perdere il vino utilizzò lieviti selezionati. Cioccolato amaro e una leggera nota di big bubble (confermata dal produttore), profumi lievi e tannino qui troppo leggero. Chiaramente una prima annata che ha fatto da palestra per le successive. Intendiamoci, è vino che raggiunge la sufficienza senza affanni, ma la 2022 gli è superiore in tutto e in modo deciso.
Outside 2020
Outside è il vino che, a partire proprio dal nome, definisce meglio il progetto DWNL. Un nebbiolo vinificato seguendo il disciplinare del Barolo ma che Barolo DOCG non sarà mai essendo al di là del confine. L’uscita ufficiale è prevista per marzo 2024 e ha affinato 18 mesi in legno (usato). Naso con spiccate note di fragola e ciliegia, poi mirtillo e ribes, poi viola e sentori dolci che ricordano la cannella. Qui il tannino da nebbiolo è ben presente, è asciutto e graffiante il giusto. Chiaramente c’è più struttura rispetto al nebbiolo 2022, la sapidità è nuovamente importante ma qui si percepiscono le note golose di spezia dolce date dal legno. Un buon vino, che segue la tendenza del “pronto subito” e che andrà però valutato in un orizzonte temporale più lungo.
Siamo talvolta portati a pensare che la vinificazione a grappolo intero possa rendere i vini troppo vegetali ma così non è stato stato per i vini assaggiati; non solo quelli di Salvano ma anche quelli proposti durante la cena al Petti’t Bistrot di Barolo (tutti dal catalogo Elemento Indigeno): uno chenin blanc sudafricano, un pinot noir statunitense, un gamay e uno chardonnay francesi. Qui e là un pizzico di vegetale emerge, ma mai sopra le righe, mai fuori posto.
D’altra parte, decidere fin dall’inizio in modo così perentorio che ogni vino DWNL debba essere vinificato al 100% a grappolo intero lascia purtroppo senza risposta una domanda assai importante: siamo sicuri che questa sia la tecnica di vinificazione che produce i migliori risultati per ogni vitigno e in ogni annata?
Salvano si mostra molto sicuro di sé e delle proprie convinzioni; nonostante questo, non maschera o giustifica i propri errori ma li racconta e poi li usa per cercare di migliorarsi. Il percorso di crescita è evidente (tutto quanto assaggiato della vendemmia 2022 è meglio di tutto quanto assaggiato delle vendemmie precedenti) e i prossimi anni potranno in effetti portare una ventata di curiosità verso i vini di confine. Se diventeranno anche grandi, lo dirà il tempo.