FacebookTwitterIstagram
12 Ottobre 2023

Il gusto di ieri, oggi e domani | Grands Echezeaux 2002, Domaine de la Romanée-Conti

“La nostra sì che era musica, mica le porcherie moderne”, “Ai miei tempi ci divertivamo di più”, “Noi eravamo più svegli”, “Era tutto più difficile ma più bello”, “La vita era più autentica”: potrei andare avanti per ore.

Non si sa perché ogni generazione abbia la convinzione di essere migliore di quelle che sono venute dopo ma ovviamente non è così, perché l’uomo è sopravvissuto ed evoluto più di ogni altra specie proprio grazie all’adattamento, plasmandosi e fondendosi con i tempi in cui vive.

Tutte le vigilie di Natale da quando nel 1983 è uscito nelle sale, ci divertiamo ridendo a crepapelle con la visione di quel capolavoro di John Landis che è Una Poltrona per due, e solo poi riflettiamo su come il contesto in cui si cresce influenzi le nostre percezioni. Certo, tutti possono abituarsi al nuovo, migliore o peggiore che sia, ma un ricco damerino e un nullatenente cresciuto sulla strada hanno dei background differenti che nessun esperimento sociale potrà mai cambiare.

Tutto ciò si riflette anche sul mondo del vino: i naturisti duri e puri altro non sono che giovani fan di Fabri Fibra rispetto a noi che ascoltavano De Andrè e che a nostra volta eravamo criticati dai genitori che ascoltavano Modugno.

Io ho cinquant’anni e sono troppo vecchio per essere ancora un ragazzo ma pure troppo giovane per essere un anziano: questo essere nel mezzo mi porta ad avere un occhio che guarda la giovinezza mentre l’altro è proiettato sulla vecchiaia. Occorre liberarsi nella convinzione di essere migliori, siamo diversi e basta e quel che fa la differenza con l’età è il quantitativo di esperienze che si è riusciti a mettere in valigia, giocoforza superiore in un uomo adulto rispetto ad un adolescente.

Questa riflessione scaturisce dal fatto che le volte in cui mi trovo a bere con persone molto più giovani di me, magari anche piuttosto dotate dal punto di vista degustativo, la differenza di “vissuto bevuto “ incide molto sul giudizio di un vino. È inutile negare che negli ultimi vent’anni il profilo aromatico, le sensazioni gustative e il nitore dei profumi siano cambiati tantissimo. Io ho vissuto questa trasformazione di vendemmia in vendemmia, passando da vini meno precisi, più disordinati ma pure più fluidi (le rese erano maggiori ed il clima diverso), a vini di grande concentrazione, con frutto sempre in bella evidenza, con profili tannici più amichevoli e concilianti, perfetti per accontentare il pubblico sempre crescente e dalla vita veloce che di mettere in cantina vini da attendere anni e anni non ne vuol più sapere.

Il problema, se di problema si può parlare, nasce quando ci si trova davanti ad un grande vino come quello che mi ha stimolato questo pensiero: Grands Echezeaux 2002 del Domaine de la Romanée-Conti ha stranito molti dei commensali. Lungi da me dire che tutto quello che esce dalla cantina di uno dei Domaine più importanti del pianeta sia buono a prescindere, questo vino però era semplicemente spaziale, seppur meno contemporaneo dei suoi omologhi 2017 o 2019: un Grands Echezeaux 2017 oggi sarebbe pronto da bere ed espressivo subito, senza però la tridimensionalità di altri millesimi.

La mia sensazione è che chi si è formato negli ultimi anni abbia visto solo un lato della medaglia, quello esplosivo, di impatto, goloso, una visione lucente senza le ombre delle chiusure, delle introversioni date dal tempo, della necessità di aperture anticipate di ore. In questi incontri, quasi sempre per ovvi motivi non si riesce a concede due o tre ore ad una singola bottiglia, quindi giocoforza vini che hanno nel loro DNA un lento sviluppo possono venire penalizzati anche da un pubblico competente, al quale però manca un pezzetto della storia: è in quei casi che gioverebbe un po’ di prospettiva storica, capace di scavare a fondo le perplessità per magari contestualizzarne la genes, arricchendo l’interpretazione e anche l’assaggio.

Per contro, e penso a me in primis, essendo cresciuto nel selvaggio West oggi talvolta mi ritrovo a far fatica nel riscontrare certi difetti, o meglio a considerarli tali, perché con un certo gusto mi sono formato. Ricordo i vini del Rodano anni ’80/’90, altroché brett: sembrava di stare al maneggio ma bevevamo con gioia e soddisfazione.

L’unica verità è che la Verità non esiste, ficcatevelo bene in testa: nel vino, men che meno.