Il Portogallo.
Il pesce e il vino.
L’oceano e la malinconia.
Ma anche l’aereo e il bagaglio Ryanair, l’auto a noleggio e la conseguente impossibilità d’acquistare svariate casse di vino dai produttori.
Vivo le vacanze come un tempo di scoperta: nuove fotografie per gli occhi, sapori imprevisti e architettura dello spazio che stimola l’immaginario. Duemila chilometri su e giù per il paese del Fado, degli azulejos, del surf, di Eusébio e Cristiano Ronaldo e della vongola filippina, temuta come e più del granchio blu.
È estate per tutti, dunque anche i produttori ricevono meno: chi è in vacanza, chi sistema la cantina, chi partecipa a un matrimonio, chi oggi non c’è ma domani sì. I tempi del viaggiatore non sempre coincidono con quelli di chi lavora.
Decido che ok, posso fare a meno di tutte le visite previste e privilegiare ristoranti e spiagge ma non devono mancare un produttore storico e uno con poche vendemmie alle spalle: scelgo rispettivamente Fernando Paiva (Quinta da Palmirinha) e Charlotte Hugel con Paul Chevreux di Vizinho Vinhateiro.
Dell’unicità del vinho verde di Paiva scrisse già su Intravino con tono entusiasta un lungimirante Jacopo Cossater nel 2018, e il suo articolo così definiva la maggior parte delle etichette di zona:
Vini tanto corretti quanto per certi versi poco entusiasmanti, sempre caratterizzati da una spiccata freschezza ma non poi così dinamici, così incisivi.
Sapendo pure che Paiva è considerato il pioniere della biodinamica portoghese, per questo ho deciso di raggiungerlo in cantina, e la strada da percorrere richiede davvero una motivazione seria: arrivando dai parchi naturali del nord, è una provinciale dove per la maggior parte del tempo si viaggia ai cinquanta all’ora.
Siamo appena fuori dal paese di Lixa, vicino al più caratteristico Amarante, terra di vinho verde meno nota rispetto allo spettacolo dei terrazzamenti che si può ammirare nei dintorni di Pinhão.
Paiva mi accoglie con passo lento ed elegante, a suo agio in una polo grigia, con le guance scavate e gli occhi brillanti. Parla piano, grazie a un mélange di lingue latine riusciamo a capirci. Nessun grande discorso, nessuna parola di troppo. “Siamo a 400 metri. Le viti hanno in media trent’anni, tre ettari, qualche vigna anche ad Amarante, qui scisto e argilla rossa, ad Amarante il granito. Io raccolgo l’uva sana e matura, pigio, macerazione brevissima, acciaio. Fine. Nessuna chiarifica, nessuna filtrazione. Al posto dei solfiti uso i fiori di castagno essiccati: funziona.”
Lo sguardo quieto pare sempre oltre l’imminente, un uomo di quasi ottant’anni proiettato al futuro, aggiunge: “Non esiste futuro senza un presente pensato. Beviamo.”, mentre soffia un vento leggero.
Vinho Branco Azal 2022, Quinta Da Palmirinha
Vitigno azal: acini grandi, grappoli compatti e acidità importante. Nel calice è agrumi e mela croccante, poi albicocca, arrivano sentori di noce e arachidi. Non è un vino complesso, fa della verticalità il suo tratto dominante. È presente una leggera ossidazione che accompagna i profumi al naso senza prevaricare. La frutta a guscio chiude il sorso, l’acidità invita a un assaggio nuovo. Cosa ho bevuto di simile? Forse uno chenin della Loira? Lasciamo perdere i paragoni: questo è il vinho verde, signori, di pronta, materica e compulsiva beva. Dinamico e vibrante. Il mio preferito tra i tre assaggiati.
Vinho Branco Loureiro 2022, Quinta Da Palmirinha
Solo uve loureiro. Fiori di acacia e cedro, anche qui frutta a guscio, ma anacardi e noce pecan. Più sostanza dell’Azal, più domo ma più generoso: le morbidezze, accennate in un vino che gioca di acidità e beva, ne rivelano complessità. Prontissimo, bella dinamica amaricante, chiusura di mineralità e leggerezza.
Loureiro/Maceration 2022, Quinta Da Palmirinha
La bottiglia non è del tutto a posto e, per questo, evito la descrizione. Non sono convinto i vitigni assaggiati possano reggere una macerazione prolungata mantenendo le caratteristiche che fanno grande il vinho verde ma sarò, se ricapitasse un assaggio in futuro, pronto a stupirmi.
Le bottiglie prodotte negli anni buoni sono circa 28.000, nel 2023, a causa soprattutto della peronospora, Fernando ne prevede 5.000 soltanto. “Bisogna aver fiducia nella natura, un anno dà, l’altro toglie.” Dice. Inutile chiedergli se per questo alzerà i prezzi (intorno ai 15 euro nelle enoteche portoghesi, ancora meno in cantina), non risponde, alza le spalle e riprende a camminare.
Altro passo, invece, è quello di Paul Chevreux di Vizinho Vinhateiro: corre, salta, vocia e muove velocemente le mani, dotato di un’energia senza pari. Lui, giovanissimo viaggiatore, parla portoghese, inglese, francese, italiano… dopo esperienze qui e là (in Borgogna, soprattutto) ha deciso, insieme alla compagna Charlotte Hugel (conosciuta nelle cantine di Graham, a Porto, allevatrice di cavalli con un cognome che rivela una grande tradizione e cultura vitivinicola: Famille Hugel, in Alsazia) di trasferirsi definitivamente in Portogallo e fare vino.
Siamo nella terra del Dão, a Farminhão, piccolo villaggio vicino a Viseu, dove Paul e Charlotte, convinti delle grandissime potenzialità del territorio per età delle vigne sopra la media, freschezze e stili comparabili ad Alsazia e Jura sui bianchi e a Borgogna e Beaujolais sui rossi (precipitazioni abbondanti, escursioni termiche tra i 15 e i 20 gradi, mattinate fredde anche in estate, molte nuvole), acquistano terreni e piante abbandonati oltre a un’affascinante, enorme cascina, pure lei abbandonata, con tanto di cantina storica (magnifica!).
Una buona dose di coraggio, risparmi, amore per la terra e voglia di sporcarsi le mani. I ragazzi lavorano senza sosta e il loro sogno prende forma. Hanno una mentalità imprenditoriale, un’idea chiara del vino che vogliono produrre e di dove vogliono arrivare. Le vigne coltivate saranno sempre di più (qui i vecchi lasciano e i terreni sono tanti), che significa più lavoro ma più bottiglie, che significa uscire dai confini del Portogallo e far splendere quella cascina che ha potenzialità enormi; infine, dare lustro a un piccolo paese e a una regione sottovalutata dai più. Lì ascolto parlare e li guardo con invidia e stima.
Clarete 2022, Vizinho Vinhateiro
15 vitigni, uve bianche e rosse come da tradizione. Macerato un giorno intero, poi pressato e subito in botte a fermentare. Se la 2021 presenta una riduzione evidente, la 2022 è da applausi. “Imparare dai nostri errori è uno dei motti della cantina”, mi dice Paul. Il vino è semplice ma espressivo, abbraccio di fruttini rossi, fresco e con buona sapidità. Il tannino è dosato alla grandissima, tanto gustoso che vai a cercarlo con la lingua. Prima di mangiare, durante il pasto, al tramonto, è un vino per tutte le occasioni.
Tinto de Vagar 2022, Vizinho Vinhateiro
Un esperimento in macerazione carbonica. Soltanto 500 bottiglie. Il baga è un vitigno dall’acino piccolo e dalla buccia spessa, basta assaggiarlo e ti rendi conto che il tannino vuole imporsi su tutto. Maturazione tardiva e acidità elevatissima, mica facile da vinificare, eh. Forse per questo la scelta della carbonica. L’esperimento è riuscito, il naso è semplice, di frutti rossi e spezie, nessuna deviazione, il sorso agile, ma la sostanza c’è, anche qui il tannino rende interessante l’assaggio. Le bottiglie, mentre scrivo, è probabile siano già terminate, ma i ragazzi hanno deciso vinificare il baga anche senza macerazione carbonica, dandogli importanza e lasciandolo nel legno più a lungo. L’assaggio da botte è coinvolgente, promette davvero bene. Che si sperimenti pure se si sa quel che si fa e dove si vuole arrivare.
Vini contemporanei e semplici che possono stare nelle enoteche alla moda e desiderio di fare vini importanti e imporsi per qualità sul mercato. Nessuna fissazione, tanto lavoro in campagna e nessun erbicida, non si nomina la biodinamica e nemmeno ci si crede (anche se molti sono i principi messi in pratica), in vigna si usa il cavallo, ma anche il trattore, i solfiti (pochi) non sono un tabù, i lieviti selezionati sì.
Se Paul è estro ed energia, Charlotte è più posata, critica, riflessiva, si trattiene un poco anche se le cose da fare, dice, sono sempre troppe: “Non faccio i vini che bevevo a casa, anni fa, faccio quello che sento simile a me. Una cosa però non cambierò mai, l’accoglienza che ho imparato, le cantine di Famille Hugel sono sempre aperte, in qualsiasi giorno dell’anno qualcuno di famiglia fa assaggiare le bottiglie, racconta una piccola grande storia, così sarà sempre anche per noi.”
“Vuoi vedere i cavalli di Charlotte?”, mi propone Paul.
Nel calice di touriga national, preso direttamente dalle botti, un’ulteriore conferma che la stoffa c’è e nei prossimi anni sentiremo parlare di questa cantina. Raggiungiamo un grande prato, i cavalli ci vengono incontro, cercano carezze. Paul si sdraia su una balla di fieno, mi dice: “Provaci anche tu, da qui noi guardiamo le stelle.”