«Qual è il vitigno tipico del Ticino?», mi chiese lei.
«Il merlot…», risposi sconsolato.
«Allora berremo merlot…»
E io: «Cercherò altro, devo trovarlo, perché non berrò il fottuto merlot!».
Non è una scena tratta dal film Sideways ma un botta e risposta tra me e mia moglie prima della partenza per il Canton Ticino.
La scusa arriva da una visita a mio fratello in Svizzera – che avrei preferito rivedere quando abitava a Basilea, due passi e sei in Alsazia – mentre ora vive nella Svizzera italiana: niente bottiglie renane e riesling ma tanto merlot.
Vinificato in bianco, rosato, “barrriccato” e, dulcis in fundo, spumantizzato. Per Miles (il protagonista di Sideways) sarebbe un inferno. Lo è stato per me, che non più tardi di otto mesi fa grazie a quattro serate dedicate a Bordeaux avevo avuto modo di apprezzare questo vitigno. Sono bastati pochi assaggi in Ticino e la voglia di approfondire si è rapidamente affievolita.
La sensazione è stata che il problema del vino ticinese sia non tanto il vitigno in sé ma come viene interpretato. Estrazioni pesanti, concentrazione e vini affogati in barriques nuove appartengono a una concezione di vino arcaica e che riporta un po’ all’enologia di qualche anno fa. Se a tutto ciò aggiungiamo le enormi difficoltà nel prenotare visite, tra assenza quasi totale dai social, risposte alle mail lentissime (quando rispondono), regole turistiche (“ci dispiace, accogliamo solo gruppi dalle otto persone in sù, trovi una cantina più piccola…”) e siti internet che fanno rimpiangere la grafica del Commodore 64, il disastro è fatto. Che fatica!
Ma in un plateau di quasi 80 siti visionati qualcosa finalmente mi incuriosisce: fermentazioni spontanee, lieviti indigeni, barrique usate e solforosa in dosi omeopatiche. Adrien Stevens, viticoltore indipendente.
Prenoto una visita. Proviamo.
Ad accogliermi al mio arrivo c’è Adrien. Un bel ragazzo, alto, fisico slanciato e classica abbronzatura da vigna. Mi racconta un po’ di sé, del fatto che è partito da zero non avendo nessuna tradizione o vigne di famiglia. Ha studiato viticoltura ed enologia negli istituti svizzeri di Châteauneuf (2001) e Changins (2008), muovendo poi i primi passi in alcune aziende locali. Dal 2015 al 2019, con altri due soci, fonda Cantine Riva Morcôte, dove rimane fino al 2020, quando abbandona la società e decide di mettersi in proprio acquistando la sua attuale proprietà.
Siamo a Monteggio, piccola frazione collinare situata nel Malcantone (regione del Canton Ticino) e che si affaccia sul fiume Tresa, a pochi passi dal confine con l’Italia. 2,7 ettari composti in gran parte da merlot e un po’ di chardonnay, a cui si aggiungerà a breve un nuovo impianto di savagnin (perfetta spalla acida per realizzare un blend in stile tradition ouille di Jura), per una produzione totale che al momento si attesta intorno alle 12.000 bottiglie suddivise in quattro etichette: tre merlot e uno chardonnay.
Sia in vigna che in cantina si lavora in modo rispettoso e sostenibile, con rame e zolfo, estratti di alghe, inerbimento e seguendo quando possibile il calendario lunare. Le fermentazioni avvengono in vasche di vetroresina e senza controllo della temperatura, macerazioni semi-carboniche, pièce borgognone chaufe blanche (non tostate) fino all’8° passaggio, travasi più unici che rari e solforosa solo all’imbottigliamento.
Iniziamo con gli assaggi da botte, dove tra diversi merlot 2022 pre-assemblaggio a colpirmi è stato un cabernet franc nato da una collaborazione con un’amica di Adrien: un bel fruttone, corpo slanciato e tanta freschezza. Inizio ad intravedere la luce.
Passiamo a due Merlot in bottiglia, entrambi Ticino Doc. (I Prezzi riportati sono in franchi svizzeri e si riferiscono a quelli in cantina).
Sottocielo Villages 2022
Da vari appezzamenti con suoli granitici e a pH acido. Matura 8 mesi in pièce borgognone usate. Finalmente un merlot ticinese che mi fa gongolare. Un impatto immediato di frutta scura sfumata sul ferroso, con beva saporita e carnosa ma comunque fluida, il giusto tannino e una rinfrescante spalla acida di fondo. Un sorso dopo l’altro e non mi stanca mai. Tra i due il mio preferito. Buonissimo. (CHF 21)
Blu di Notte Vieilles Vignes 2021
Cru da suolo sabbioso-calcareo in località Castel San Pietro. 15 mesi in pièce borgognone (20/30% nuove). Cuoio, pepe e frutta scura in un vino a metà strada tra il bordolese e l’alpino, dove concentrazione e opulenza ci sono ma si sciolgono in una beva comunque plastica e dall’indubbia vena acida. Più importante e riflessivo ma anche più impegnativo del precedente. Da assaporare con calma e possibilmente un domani. (CHF 34)
Dove vuole arrivare Adrien? Nessun obiettivo in particolare se non cercare di migliorarsi continuando per la sua strada, che lo vede impegnato al 100% tra vigna, cantina, moglie, una bimba di quasi due anni e un’altra in arrivo. Il vino che è già tutto venduto su assegnazione tra Svizzera italiana e tedesca, e lo trovi online solo su alcuni siti svizzeri: una chimera.
Un Merlot del Ticino buono e moderno esiste, ora posso dirlo.