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12 Settembre 2023

Columbu e Contini | Questi ossidativi sardi sono vini infiniti (e “lasciatemi qui”)

Questi sono vini infiniti, superano le generazioni senza fare una piega e prima di dare il meglio hanno bisogno di tempo. Lo sapevano bene i vecchi che muravano le bottiglie nei sottoscala per dimenticarsele e aprirle anni dopo nelle occasioni importanti, solo che poi se le scordavano davvero e le migliori bevute andavano ai muratori durante le ristrutturazioni“.

È capitato davvero per anni a Bosa, cittadina della costa sarda centro occidentale tra Alghero e Oristano, con la malvasia. Un vino che forse conoscono solo i sommelier, oltre ai locali, perché se ne produce così poca che se non fosse così buona non staremmo qui a sprecare parole. Invece è un vino incredibile, le cui origini si perdono nella storia antica dell’isola e non si hanno certezze su quando esattamente sia nato e neanche del perché si sia affermata la maturazione in botti scolme (di castagno e non di rovere), dove si ossida meravigliosamente protetto dal famoso velo di lieviti detto “flor”.

Eppure la Malvasia di Bosa esiste, inscindibilmente legata al maestrale, al sole, al mare e a una manciata di macchia mediterranea che ne plasma la sostanza liquida, simile a un nettare prezioso. Anzi, ancora di più perché se si seguisse solo il mercato a quest’ora anche a Bosa della malvasia si farebbe spumante e fine dei giochi, invece si investe in più fatica, più tempo e più tribolazione per farne di meno, per venderne di meno e godere di più.

Tutto questo l’ho respirato in un paio d’ore in compagnia di Vanna Mazzon e Gianmichele Columbu nella loro sala degustazione, ex cantina, nel centro del paese, e tra una chiacchiera e l’altra abbiamo letto i vecchi registri dove si segnavano le annate e le vendemmie con una precisione maniacale (foto di copertina); abbiamo rivisto la vecchia foto in cui Mario Soldati con il padre di Gianmichele, un caro amico e lo zio Salvatore, nel magazzino-bottega di quest’ultimo, davanti al manifesto del P.L.I. e della Malvasia doc, sembrano cospiratori nel bel mezzo di un incontro clandestino; e abbiamo bevuto, di cuore e senza formalismi, le due versioni di casa: la dolce Alvarega e la Riserva ossidativa.

Malvasia di Bosa Alvaréga 2022, Columbu
Al naso, note dolci di miele di acacia, albicocca sciroppata, fiori di camomilla, mandorla. Te lo aspetti più dolce in bocca e invece non lo è, la vendemmia tardiva a differenza dell’appassimento non concede troppo spazio agli zuccheri, infatti è delicato, equilibrato e sapido, non stanca, questo è il problema, non stanca affatto.

Malvasia di Bosa Riserva 2016, Columbu
Facciamo un salto quantico ed entriamo nell’universo ossidativo con uno dei più alti picchi al mondo di questa categoria. Qui siamo al top e andrebbe corrotta un’impresa edile per mettere le mani sui vecchi sottoscala. Al naso è dannatamente riconoscibile, l’ossidazione ha il potere di resettare la materia e ricacciarla fuori trasformata: le note si rifanno allo smalto, al balsamico della macchia mediterranea dove spicca l’elicriso (quel fiore giallo proprio della macchia) e poi nocciola tostata, albicocca disidratata, una certa brezza marina salata… insomma, la lista sarebbe lunga. In bocca è “asciutto, deciso, trascinante, infinito (lasciatemi qui)”: l’aveva scritto Jacopo Cossater nel 2015 parlando della Riserva 2010 e vale lo stesso per questa 2016.

La storia finirebbe qui in qualsiasi altro paese al mondo, non in Italia, non in Sardegna, perché nel giro di 60 km puoi trovare un altro celebre produttore di ossidativi: Contini.

Un nome che fa rima con Vernaccia di Oristano ma anche qui scordiamoci volumi di vendita, glam party e sbicchierate facili. Siamo in presenza di un monumento ossidativo che si presta alla bevuta di spessore (con qualche piccola divagazione in leggerezza di cui dirò tra poco…). Andrea Atzori, responsabile vendite e marketing, ci racconta la storia della prima cantina nata in Sardegna a fine ‘800 nel segno della vernaccia, con cui il legame è molto antico e della quale, negli anni ’70 del secolo scorso, venivano coltivati più di 2000 ettari.

Oggi l’estensione è diminuita parecchio – siamo sui 400 ettari – complici vari espianti e anche il fatto che sono salite alla ribalta altre tipologie più cool (il Vermentino su tutti). Proprio per questo motivo, anche l’azienda Contini ha fatto delle scelte strategiche oculate, senza rinunciare alla sua produzione identitaria ha allargato il perimetro anche agli altri vitigni autoctoni, tra cui vermentino e cannonau, in modo da garantirsi una certa sostenibilità e solidità. In degustazione ne abbiamo giusto qualche esempio prima di introdurre la vernaccia, prima di fermarci simultaneamente, in silenzio, naso sul calice, fronte aggrottata, finché Andrea non ammette: “Vedi, vini come questi cambiano completamente la nostra prospettiva. Finora abbiamo parlato d’altro sorseggiando del vino, adesso parleremo solo del vino che stiamo sorseggiando“. Non poteva dirlo meglio, cominciamo.

Vernaccia di Oristano Flor 2019, Contini
Maturazioneper circa 4 anni in caratelli di rovere e castagno tenuti scolmi per consentire lo sviluppo del velo di flor. Siamo di fronte al più giovane dei tre ma c’è già la stoffa del campione. La complessità è di casa in questi vini e qui si esprime in sentori di albicocca disidratata, miele, alga, mallo di noce. In bocca è potente e sapido ma lascia spazio per divertirsi un pò: può diventare un aperitivo originale se servito più fresco (un po’ come lo sherry per intenderci), può essere la base di un cocktail ricercato. Basta un pò di immaginazione insomma.

Vernaccia di Oristano Riserva 1997, Contini
Maturazione per circa 20 anni in caratelli di rovere e castagno tenuti scolmi. Dopo due decadi di maturazione lo stesso vino evolve le note del fratello minore verso smalto, miele di acacia, dattero, caramello salato e nocciola tostata. In bocca è secco (secco!), l’intensità triplica e l’ossidazione è armoniosamente gestita così come la componente alcolica. E’ una bevuta da godersi in compagnia di un buon amico/a, in riva al mare o di fronte a un bel panorama, perchè la bellezza va condivisa e amplificata!

Antico Gregori 1979, Contini
Cuvée delle migliori annate di vernaccia, maturate per decenni nei caratelli scolmi di rovere e castagno per favorire il flor. Quando un vino supera i 40 anni, o meglio, quando qualsiasi cosa che si rapporti all’umano supera i 40 anni in una forma smagliante è già un piccolo miracolo. In questo caso, tutto lascia presagire che possa migliorare ancora senza per molto tempo. I sentori sono leggermente cambiati: alloro, miele millefiori, smalto, cipria, arancia amara candita, tè. In bocca è sempre secco, sapido ma più materico, ancora più persistente. Questa volta immagino di mettere sul piatto un disco di Bill Evans, sprofondare nella poltrona e sorseggiare lentamente fino alla fine. Perché le cose belle vanno vissute fino in fondo.