Forse il nome di questa azienda – Promontory – non suonerà familiare. Magari Harlan Estate può risultare già più conosciuto. Di sicuro, con Napa Valley in tanti storceranno il naso pensando a vini ultra corposi e goffi.
In realtà oggi rischieremo di sfatare diversi luoghi comuni quindi abbiate fiducia e un pizzico di curiosità perché vale la pena continuare la lettura.
Partiamo dall’inizio: il titolare offre a me e ai miei colleghi sommelier la rara opportunità di partecipare ad una degustazione privata con l’enologo di Promontory, David Cilli, italianissimo, che è rientrato in Italia dalla Napa Valley per qualche giorno.
David è letteralmente un cervello fuggito all’estero: dopo la laurea in enologia, parte prima per il sud del mondo, poi per la Francia e infine si ferma proprio in Napa Valley, dove le grandi opportunità, per chi è giovane e volenteroso, arrivano con un po’ più di facilità che da noi.
Promontory è il terzo ed ultimo progetto (in ordine cronologico) di Bill Harlan di Harlan Estate. Promontory oggi vede coinvolta la seconda generazione della famiglia Harlan nella figura di William.
Parliamo di una delle realtà più storiche ed affermate della Napa Valley, più precisamente siamo a Oakville, nel cuore di questa magica vallata. Il proprietario di Harlan Estate, Bill appunto, è da sempre innamorato di questa cresta o, meglio, di questo promontorio a ovest di Younthville, ma non era ancora in vendita negli anni ’80 quando lui lo ha visto per la prima volta. Verrà acquistato dalla famiglia Harlan invece nella primavera 2008.
Il vicino di Promontory è Dominus Estate, stessa famiglia proprietaria di Petrus. Robert Mondavi è stato un amico di famiglia. Questo è il mondo che circonda Bill.
L’intera proprietà è composta da circa 320 ettari, la maggior parte non adibita a vigna ma a bosco.
David ci racconta un po’ com’è nata l’impresa di Promontory:
La proprietà è stata acquistata nel 2008 con già 32 ettari piantati; ci tengo a dire che non possiamo aggiungere o sviluppare nessun’altra area. Quello che abbiamo fatto inizialmente è stato valutare il potenziale delle prime 3 annate dei vigneti già piantati e dal 2011 abbiamo cominciato a rimpiantare, circa 1-2 ettari all’anno, non tutti gli anni. In questo momento siamo a circa metà. La metà dei vigneti rimasta, quelli piantati tra gli anni ’80 e ‘90, sono quelli che già c’erano prima dell’arrivo di Promontory. Il resto è in via di sviluppo, logicamente quelli piantati nel 2011 e 2012 li stiamo già usando da circa 1 anno o 2.
La vigna si trova all’interno di un braccio secondario della faglia di St. Andreas su un puzzle fortemente eterogeneo di suoli (sedimentari, metamorfici, vulcanici), impossibili da mappare e circondata da fitta e rigogliosa vegetazione. Dalla Baia di San Francisco la mattina arrivano nebbie dense le quali apportano umidità che viene trattenuta dalle verdi foreste che circondano le vigne: questo permette una riduzione della traspirazione delle piante e riduce il rischio di stress idrico.
Niente a che vedere con le steppe gialle e aride viste in Sideways.
Durante la vendemmia, proprio a causa della forte eterogeneità dei suoli, i singoli vigneti vengono raccolti in più passaggi, fino a 95 vendemmie in momenti diversi. Il vino, in seguito ad una macerazione di circa 20 giorni, affina in botti per circa 2 anni e mezzo. 30.000 bottiglie di solo Cabernet Sauvignon.
David è gentile, pacato, preciso, adora scendere nei dettagli spiegando sempre il perché delle loro scelte. Parlare con lui è come sentirsi a casa, lo ascolterei per ore. Non si nasconde dietro ai cambi di rotta che hanno fatto: “niente più irrigazione e niente più barrique, abbiamo provato, ma non ha funzionato”, e nonostante abbiano dato vita ad uno dei vini più memorabili della storia (Promontory 2018, premiato all’unanimità praticamente da tutte le guide mondiali col massimo punteggio possibile) dopo solo 10 anni dalla prima vendemmia, resta una persona umile e coi piedi per terra.
Dunque:
Azienda giovane della Napa Valley
Enologo italiano
Viticoltura di precisione
No barrique
No irrigazione
Grossi premi da parte di Robert Parker (Lisa Perotti Brown MW)
Cifre a 3 zeri per ogni singola bottiglia
Ci sono tutte le premesse per pensare ai vini californiani in maniera diversa e magari, per stapparne una bottiglia godendo come matti.
Promontory 2016, stappato un’ora prima e servito a 17°C
Piogge salvifiche fino ad aprile, è la prima annata equilibrata dopo 4 anni di siccità.
Rubino, media trasparenza. Al naso risulta subito molto intenso, espressivo, orientato verso il frutto, ma che serba nascosto la pungenza di quella che qui viene soprannominata Rutherford Dust, la polvere di Rutherford: un mix di profumi che ricordano la polvere arsa e cipria. È un naso molto cupo e mediterraneo: alloro, mora matura, foglia di mirto, terra, fiori blu essiccati, liquirizia, cortecce e incenso orientale. In bocca al primo sorso l’alcol e il tannino risultano un po’ forti, ma al secondo assaggio la bocca si abitua e il vino prende volume e si compatta in una struttura che dà persistenza. L’acidità è presente, ma in secondo piano rispetto ad alcol e soprattutto al tannino. Il finale gustativo è tutto giocato sulle dolcezze date dalla perfetta maturità di frutto, infatti l’ho chiesto: dalle analisi non risulta nessun residuo zuccherino.
Promontory 2017, stappato un’ora e 15 prima e servito a 17°C
È l’anno degli incendi, l’azienda perde il 30% del raccolto in quanto l’uva è affetta da smoke taint, affumicatura, il resto viene raccolto prima. I picchi di calore di giugno e settembre, le basse escursioni termiche tra giorno e notte hanno condotto a stress idrico e convinto l’azienda a organizzare in modo diverso le potature.
Rispetto al vino precedente, il colore è sempre rubino, ma meno brillante e più cupo. Anche al naso gli aromi sono molto diversi e trasmettono l’impressione di un’annata molto più torrida: frutta nera stramatura, corteccia, legno di cedro, eucalipto essiccato. In bocca sembra essere più equilibrato e performante che al naso: il tannino è pungente e leggermente astringente, l’alta acidità dona snellezza ed eleganza vino.
Promontory 2018, stappato un’ora e 15 prima e servito a 17°C
Forse il vino più buono della triade, è l’annata più fresca delle 3 e la vendemmia si è prolungata più del solito a causa della discontinua maturità delle uve al momento del raccolto. Color rubino cupo e naso davvero intenso già a bicchiere fermo. I profumi sono piacevoli e raffinati: fiori blu, erbette essiccate, patchouli e mirtilli, grafite e humus bagnato. Gli aromi di botte sono appena percettibili e perfettamente integrati, quasi nascosti. Il finale di bocca è piacevole e particolarmente persistente. Acidità è tannino sono presenti in quantità, la beva è straordinaria; per una maggiore piacevolezza di questo vino, bisogna aspettare almeno altri 5-6 anni, ma la stoffa è presente già da ora.
“Vale 1200 € a bottiglia?” mi ha chiesto subito il coinquilino.
Devo essere sincera, sono cifre che non mi posso permettere, ma i numeri parlano chiaro: le 30.000 bottiglie prodotte da Promontory non sono sufficienti a soddisfare la richiesta mondiale e, dove lavoro, ho clienti che sono abituati a spendere queste cifre a cena per una bottiglia, quindi il mercato c’è. Personalmente, paragonandolo ad altri vini simili per vitigno e prezzo, se potessi permettermelo, questi vini li comprerei e li pagherei molto volentieri: assaggiarli in questa seppur piccola batteria, mi ha permesso di farmi un’idea circa la serietà aziendale e l’interpretazione delle annate facili e, soprattutto, difficili senza perdere identità e personalità, e questo, per me, è un valore aggiunto che non ha prezzo.