In un recente incontro da me organizzato nel teatro romano dell’antica Tusculum, risalente al I secolo a. C., abbiamo cercato di approfondire il tema dell’utilizzo dell’anfora nell’antica Roma. L’idea era quella di fare un incontro in un sito archeologico, di straordinario interesse tra l’altro, su vino e anfora.
Il parco archeologico di Tuscolo si trova oggi nei Castelli Romani, circa 20 km a est di Roma, e ospita le rovine dell’antica città latina di Tusculum, distrutta dai romani nel 1191. Una bellissima serata in cui abbiamo cercato di capire come gli antichi romani utilizzassero le anfore in terracotta per fermentare, affinare e trasportare il vino e di come oggi molti produttori stiano riproponendo e studiando questa tecnica, una comparazione tra l’antico e il presente.
Ospiti della serata con i loro vini, due produttori che hanno iniziato a riutilizzare questo antico contenitore di terracotta nella stessa zona dei Castelli Romani: La Torretta di Riccardo Magno e Maria Enqvist e Andrea Evangelisti dell’omonima azienda, da poco anche divenuto presidente del Consorzio Tutela denominazioni vini Frascati. Per la parte storico-scientifica era presente l’archeologa Emanuela Pettineli, responsabile scientifica della Cooperativa Iperico Servizi per la Cultura, che gestisce il Parco Archeologico del Tuscolo e che da anni scava e fa ricerca in questo meraviglioso sito.
Serata di grandissimo interesse con vini decisamente centrati e molto interessanti. Su tutti il Frascati Superiore Riserva Docg Vigna Casal Montani 2020 affinato in anfora in terracotta di Impruneta da 500 litri per 8 mesi. Un vino pieno e ricco che rimane molto composto e decisamente piacevole nella beva lunga e nel bel finale sapido. Decisamente fuori categoria poi la magnum di Malvasia 2020 de La Torretta, ormai introvabile. Una malvasia puntinata in purezza vinificata in anfore interrate con macerazione di 6 mesi sulle bucce, poi maturata un anno sempre in anfora e affinato per altri 6 mesi in bottiglia. Un vino con naso pomposo e solare e una bocca sapida ricca di polpa e materia. Un vino capace di evolvere sorso dopo sorso in una dinamica di bocca tridimensionale ed esplosiva.
Prima di assaggiare i vini, in realtà abbiamo lasciato la parola all’archeologa Emanuela Pettinelli, ed è grazie a lei che abbiamo imparato qualcosa che ricorderemo a lungo. Pettinelli ci ha aperto gli occhi sull’etimo della parola anfora, che riporto direttamente dalla Treccani:
ànfora s. f. [dal lat. amphŏra, che, con cambiamento di declinazione, è dal gr. ἀμϕορέα, accus. sing. di ἀμϕορεύς, comp. di ἀμϕί «da ambo le parti» e tema di ϕέρω «portare»]. – 1.Vaso a due anse, adatto al trasporto e alla conservazione dei liquidi, largamente usato fin dalla tarda età micenea e in tutta l’antichità classica; vi erano tipi semplici, in terracotta grezza, soltanto utilitarî, e altri assai raffinati, con ricca decorazione dipinta.
L’archeologa Pettinelli, non essendo addentro alle dinamiche del mondo vino, non aveva mai sentito parlare di moderno vino affinato in questi vasi di terracotta e dopo averci ascoltato descrivere questi vini come “Vini in Anfora“ ci ha accademicamente tirato le orecchie. Secondo lei stavamo utilizzando una terminologia assolutamente non corretta. L’anfora – per definizione ed etimologia – è un vaso da trasporto e secondo Pettinelli non potremmo né dovremmo tecnicamente parlare di anfora quando parliamo di questi contenitori utilizzati per la fermentazione e la vinificazione del vino. Le anfore sono piccoli contenitori con due maniglie esterne costruiti per “trasportare” i liquidi. Quindi quando parliamo di “vino in anfora” stiamo praticamente tutti sbagliando?
La questione merita ovviamente ulteriori e doverosi approfondimenti. Partendo però da una facile ricerca sul nome, possiamo intanto notare che in effetti i vasi vinari e le giare in terracotta utilizzate dagli antichi romani per la conservazione di liquidi, specialmente del vino, non sono mai chiamate anfore. Questi recipienti sono quelli che i romani chiamavano dolia.
Quegli stessi contenitori che i greci chiamavano invece pithos e che i georgiani ancora chiamano – perché tuttora li utilizzano – qvevri. In molti paesi del Mediterraneo ovviamente ancora si utilizzano, ad esempio in Spagna li chiamano tinajas, in Portogallo talha, anche in Armenia esistono e sono chiamate karas.
Non sono riuscito a risalire agli albori della definizione di “vino in anfora”, a capire cioè da chi sia nato questo modo di definire un vino che in Italia ri-esiste dagli anni ’90 praticamente.
Sarebbe molto interessante capire: da quando chiamiamo questi vini “in anfora”? Chi ha iniziato a chiamarli cosi? Quello che sembra chiaro oggi però è che tale definizione anche se sembra errata è ormai talmente sdoganata che sembra praticamente impossibile tornare indietro.