In ogni appassionato che si rispetti c’è più di un bevitore di vino, che fa capolino all’occorrenza a seconda di ciò che sta in tavola, della compagnia, del posto, o della serata. Ed io non faccio certo eccezione.
Tra i bevitori che compongono il mio io enoico ce n’è uno che la vede esattamente come Andrea, che con lui condivide il gusto quasi maniacale per i vini asciutti, tirati, mai muscolari. Che come lui confida disperatamente nel genius loci. Che ama il mare e nei vini bianchi cerca il gusto dell’ostrica. Che vede i rossi come il contrappunto ad un piatto ignorante di pastasciutta.
Andrea, il viticoltore dell’aleatico, è un ragazzone che ha studiato agraria a Viterbo e si è invaghito a suo modo della zona e delle tradizioni, ma non abbastanza da dimenticarsi di essere romano. Nel tempo, inseguendo per lo più i suoi gusti, ha maturato delle convizioni precise sul modo di fare vino, convinzioni che gradualmente sono diventate delle verità. E ormai queste verità riesce ad afferrarle con mano e versarle nel bicchiere.
Detta così sembra semplice ma è la quintessenza dell’esperienza, della volontà. È il culmine di un percorso di assestamenti che per altri dura una vita lavorativa e magari non arriva nemmeno a compimento.
Parlando di Andrea dovrei raccontarvi dei vini naturali, di lui che pianta le marze, del vulcano, delle vigne di Montemaggiore a picco sul lago di Bolsena, tutti aspetti che fanno parte del suo mondo e su cui, in effetti, ci sarebbe da spendere ben più di una parola. Ma non lo faccio, perché rischierei di finire nel chiacchiericcio di circostanza. Dico solo che chi decide di mollare tutto per trasferirsi dalle sue parti e mettersi a fare un certo tipo di vino prima o poi finisce a parlare con lui, e lui due dritte gliele dà sempre.
Alcune delle sue etichette sono un padadigma. Una è l’Alea Viva, un rosso gentile, borgognone, eternamente giovane. È l’idea platonica del vino rosso laziale, il che non significa che i vini rossi della zona inseguano questo modello, perché i modelli commerciali, si sa, sono ben altri, ma che questa potrebbe essere l’espressione storicamente azzeccata del vino rosso laziale, sempre che ne esista una. Quella che, nel migliore dei mondi possibili, nella migliore delle osterie, troveresti davanti a un piatto di rigatoni con la pajata o a un coniglio ripieno alla viterbese.
Un’altra etichetta è l’Alter Alea, che del primo è il corrispondente vinificato in bianco ed è il vino che più si avvicina all’idea di mare tra le mie frequentazioni enologiche. Nulla di strano, non fosse che il mare, da quelle vigne a picco sul lago di Bolsena, lo vedi più col telescopio che col cannocchiale. È un vino pressoché introvabile, al momento, anche perché di aleatico Andrea non ne possiede certo a volontà e nelle annate avare, come l’ultima, la produzione salta.
Poi ci sono i bianchi che Andrea fa per sé cogliendo le uve di qualche vecchio filare al limite del selvatico. Ma qui, appunto, siamo fuori dal commerciale, quasi nel campo dell’immaginario, del metaenologico (avete presente le finzioni di Borges?). Dentro quelle bottiglie ci sono le sue idee, senza freni. Vini estremi, salmastri, profondi ed eleganti, ma pur sempre beverini. Non so nemmeno perché ve ne sto parlando considerato che è piuttosto improbabile che ve ne capiti uno sotto mano.
C’erano anche delle vigne di greghetto da cui Andrea tirava fuori un altro rosso molto promettente, sciaguaratamente andate in fumo in un incendio (ma che pian piano stanno ricrescendo).
C’è infine un altro Andrea Occhipinti, quello delle vigne nuove di pinot nero, greghetto e ciliegiolo sul Lago di Mezzano. Che oltre a fare il viticoltore alleva cavalli allo stato brado nel sogno di vederli galoppare per primi all’ippodromo di Capannelle il giorno del Derby.
Ma il mio io a questo punto si dissocia perché dice che il Derby, quello bello, si correva a Tordivalle (quindi al trotto, ndr) ai tempi di Mint di Jesolo, Sec e Tinak Mo, e, soprattutto, dei due fenomeni della leva millennovecentonovantacinque il cui nome non oso nemmeno proferire*.
* Varenne e Viking Kronos, ndr