È il 1999, in un appartamento in affitto a Saddle River nel New Jersey (USA), un uomo di 30 anni e suo figlio di 3 entrano in cucina. L’uomo tiene in mano uno strano aggeggio, con un lungo ago e una valvola, suo figlio dice che sembra una zanzara.
Su uno scaffale c’è una bottiglia di vino, un Bordeaux economico, sua moglie infatti l’ha redarguito a dovere: “per gli esperimenti si usano solo bottiglie sotto i 10 dollari!”.
La bottiglia è inclinata, quasi orizzontale. Sotto, un bicchiere è pronto a raccogliere il vino.
L’uomo infila l’ago nel tappo in silenzio, bene al centro, dritto. Tutti e due trattengono il fiato, dopotutto è il primo esperimento! 3, 2, 1, l’uomo apre la valvola.
Accadono tre cose istantaneamente. L’uomo sente una fitta al petto: il marchingegno e un pezzo di bottiglia gli sono finiti addosso. Nella cucina si materializza una gigantesca nuvola viola. Il figlio dell’uomo, biondissimo e chiarissimo di carnagione, è anch’esso completamente viola. Con gli occhi sbarrati si gira verso il padre e grida “FACCIAMOLO DI NUOVO!!!”.
Così inizia la storia del Coravin, con il primo prototipo che si chiamava Wine Mosquito, nome simpaticissimo (non a caso veniva da un bambino) che mi fa pensare all’importanza dei nomi delle cose (argomento probabilmente di scarsissimo interesse qui, ma affascinante per me): il Coravin avrebbe avuto altrettanto successo si fosse chiamato Wine Mosquito?
Qualche settimana fa ho avuto il piacere di partecipare al decimo compleanno del Coravin al ristorante Piazza Duomo di Alba, e con l’occasione di fare una lunga chiacchierata con il suo fondatore Greg Lambrecht. Dovessi descrivere Greg in una parola sola non potrei che definirlo inventore, nel senso più antico e romantico del termine.
Fin dall’età di 15 anni Greg è stato inventore. Il suo passatempo era costruire cose, qualsiasi cosa. Finché ad un certo punto ebbe una svolta, iniziò a pensare che il bello non fosse tanto costruire cose, ma costruire cose che risolvessero dei problemi.
Pfizer lo assunse come inventore di nuove terapie mediche quando aveva solo 21 anni. La loro convinzione era che le invenzioni non nascessero solo dal caso o dal genio, ma che potessero essere programmate: “Ci diedero 3 mesi, e ci dissero solo gli ambiti: cardiologia, urologia… Il primo mese lo trascorremmo con medici e pazienti, per capire quali erano i problemi più urgenti da risolvere, il secondo mese inventammo, il terzo presentammo i nostri prototipi ai medici per capire su cosa poteva avere senso investire. Una delle invenzioni fu un sistema per la somministrazione della chemioterapia ai bambini malati di cancro, per il quale era necessario costruire particolari aghi.“.
Una sera Greg tornò a casa con uno di quegli aghi, andò in cantina, e iniziò a pensare ad un modo per teletrasportare il vino dalla bottiglia al bicchiere senza togliere il tappo.
Non c’era nessuna multinazionale con idee rivoluzionarie dietro, c’era solo Greg e un suo desiderio: “Avevo analizzato 8 sistemi di conservazione e somministrazione di vino, ma nessuno soddisfaceva il mio bisogno. Quando aprivi una bottiglia sapevi che dovevi finirla in fretta. Il mio desiderio era bere il vino che volevo, quando volevo, nella quantità che volevo, senza dover pensare a quand’era stata l’ultima volta che avevo bevuto da una determinata bottiglia”.
Torniamo nella cucina di Greg. Era chiaro che il primo problema da risolvere fosse regolare la pressione del gas.
Fu la principale innovazione di Mosquito 2: “fu una delle sfide tecnicamente più difficili. Oggi nel Coravin c’è il più economico e nello stesso tempo accurato regolatore di pressione possibile”.
Anche la scelta del gas non fu banale e richiese esperimenti. Oggi il Coravin (tranne che per la versione sparkling) utilizza l’argon. La ragione è contenuta nel suo nome: argon, dal greco argos, significa “pigro”, “inattivo”. È lo 0,94% dell’aria che respiriamo, non ha odore, non ha sapore, non è infiammabile, non reagisce praticamente con nulla, insomma, non fa nulla.
L’argon viene prodotto con una sorta di distillazione “al contrario” e sfrutta il fatto di essere uno dei gas in natura che congela alla temperatura più bassa. Raffreddando opportunamente dell’aria, l’unico elemento allo stato gassoso che resta è argon, lo si aspira e il gioco è fatto.
Dopo qualche anno di tentativi il primo Coravin fu messo in produzione. Il difficile però doveva ancora arrivare, conquistare la fiducia degli utilizzatori: “Iniziammo dalle cantine, avevamo bisogno di persone autorevoli che certificassero la bontà del Coravin”.
Due furono gli eventi che diedero una svolta cruciale alla storia di Coravin. Il primo fu una sorta di burla che Federico Ceretto combinò al suo staff: raccontò di centinaia di bottiglie di Barolo in preoccupante stato di ossidazione presso un importatore americano, e con questa finta scusa organizzò un controllo qualità. Solo al termine della degustazione venne svelato che le bottiglie assaggiate, alle quali nessuno trovò difetti, erano state servite con Coravin qualche mese prima negli Stati Uniti. La proverbiale diffidenza piemontese era stata scalfita con un trucco.
Il secondo evento, questa volta a carte scoperte, me lo racconta Mauro Mattei, all’epoca (siamo nel 2013) sommelier al ristorante tristellato Piazza Duomo di Alba nonché editor di Intravino: venne organizzata una degustazione (alla presenza anche di Greg) di 6 bottiglie di Barolo Brunate 2005 e di una di Pico di Angiolino Maule, scelto in quanto senza solfiti aggiunti e quindi più sensibile a conservazioni non perfette. Di ogni bottiglia ne venne servita circa metà con Coravin. I vini vennero assaggiati, si presero appunti, e ci si diede appuntamento all’anno successivo per la prova del nove.
Un anno dopo le stesse bottiglie vennero riassaggiate, e vennero messe a confronto con una bottiglia dello stesso vino mai coravinata.
Il risultato fu che l’evoluzione del vino era proseguita esattamente nel modo che ci si aspettava. Alla fine il desiderio di Greg, di teletrasportare il vino dalla bottiglia al bicchiere, sembrava realizzato.
Oggi, a distanza di 10 anni, Coravin è presente in 60 paesi, e una stima racconta di 250 milioni di calici versati: la faccia di Greg mentre diceva “a quarter of a billion!” era quella di uno che ha realizzato un desiderio.
Chi usa oggi Coravin in Italia? L’Italia è il paese con il maggior numero di ristoranti dotati di Coravin, e una delle ragioni è sicuramente da ricercare nella grandissima varietà ampelografica della nostra penisola.
Come racconta ancora Mauro Mattei, il Coravin non è utile solo per poter degustare vini il cui costo alla bottiglia sia proibitivo ma anche per differenziare gli assaggi durante un pasto. Prima del Coravin, per ordinare 4 portate con 4 vini differenti c’erano due soluzioni: ordinare 4 bottiglie, oppure ordinare dalla pagina dei vini al calice (se presente), che per ovvie ragioni di costo e di durata conteneva in genere pochi vini modesti. Mi chiedo se nel 2020 in Loira usassero già Coravin…
Oggi non solo è possibile accedere ad un ventaglio ben più ampio di vini al calice, ma con le quantità si può giocare a piacimento: “Vorrei un quartino di Cannubi di Burlotto, grazie”.
Il percorso tracciato dall’Italia è per Greg il modello da esportare: “Siamo partiti dai produttori, che si sono fatti garanti e hanno convinto i ristoratori, che a loro volta stanno convincendo fette sempre maggiori di privati, i quali possono testare l’efficacia di Coravin direttamente al ristorante”.
Il recente passato ha visto l’introduzione della versione sparkling, che rispetto alla versione classica ha due differenze importanti: prima di tutto è necessario stappare la bottiglia per sostituire il tappo originale con uno stopper. In secondo luogo, il gas scelto non è più l’argon ma la CO2. La ragione è semplice: in una bottiglia di spumante l’atmosfera è satura di CO2. Mantenere l’equilibrio all’interno della bottiglia una volta servita, oltre a permettere di evitare l’ossidazione, aiuta a conservare l’effervescenza. La durata di una bottiglia di spumante servita con Coravin scende a circa 2 mesi, il che, vista la natura versatile degli sparkling, probabilmente è abbastanza.
La sostituzione del tappo nella versione sparkling di Coravin ha un vantaggio di cui ha approfittato un’altra novità recente, il Pivot. Si tratta della versione più economica di Coravin. Anch’esso richiede l’apertura della bottiglia e la sostituzione del tappo con uno stopper apposito. La durata di questi vini è di circa 4 settimane, non un granché, ma il fatto di poter utilizzare il Coravin a prescindere dal tipo di tappo è una novità interessante, che forse potrebbe avere migliori sviluppi.
Nell’occasione del decimo compleanno di Coravin, Greg ha presentato infine l’ultima novità della famiglia: Vinitas, la cui stringata descrizione è stata “la più piccola linea di imbottigliamento del mondo”.
L’idea è nata durante la pandemia, quando si sono moltiplicate le degustazioni online, a volte virtuali (senza vino), a volte con bottiglie che andavano sprecate, a volte con soluzioni fai da te e vini che parevano la dimostrazione di come fosse nato il Madeira.
Vinitas permette di trasferire il contenuto di una qualsiasi bottiglia in flaconi da 100 ml senza che il vino venga mai a contatto con l’ossigeno. Semplice e utilissimo. Chiaramente si tratta di un progetto più per produttori che per ristoratori o privati cittadini, ma di nuovo risponde ad un bisogno semplice, una frase che Greg ha ripetuto almeno una decina di volte nelle poche ore passate insieme: far assaggiare un vino, qualsiasi vino, a più persone possibili in modo semplice. “Non tutti i giorni sono buoni per bottiglie da 300 dollari, ma tutti i giorni sono buoni per un bicchiere da 30 dollari” (Greg Lambrecht).