Ne ho troppo sentito parlare per non cadere in tentazione e così mi sono sparato tutti e otto gli episodi di Drops of God, serie TV franco-giapponese a tema vino, remake del manga Kami No Shizuku di Tadashi Agi, uscita recentemente sulla piattaforma Apple TV.
Storia
Ambientata principalmente tra Giappone e Francia, Drops of God (“Nettare degli dei” nella versione italiana) racconta le vicende di Camille (interpretata da Fleur Geffrier), figlia di un famoso critico di vino, Alexandre Léger (Stanley Weber), fondatore di una delle guide più blasonate e attendibili al mondo.
Per lei, cresciuta fin da piccola tra vigne e cantine, il vino ormai è solo un brutto ricordo legato al padre, scomparso dalla sua vita in seguito alla turbolenta separazione dalla madre. Dopo un lungo periodo di silenzio, Alexandre, da anni trasferitosi in Giappone e ormai allettato per una brutta malattia, ricompare nella sua vita con una chiamata in cui chiede un incontro per un ultimo saluto. La povera Camille non sa però cosa l’aspetta. Al suo arrivo infatti, oltre a scoprire la morte improvvisa del papà, viene bruscamente introdotta da Luca Inglese (amico di Alexandre e co-curatore della guida) nella trafila per ottenere l’eredità: una bellissima casa a Tokyo e il posto come principale curatore della guida, ma soprattutto una cantina contenente ben 87.000 vini dal valore di 150 milioni di dollari.
Quello che attende Camille non sarà però un normale passaggio di consegne ma una serie di sfide enoiche con, dall’altra parte, a contendergli l’eredità, Issei Tomine (Tomohisa Yamashita), coetaneo giapponese, grande esperto di vino e allievo preferito di Alexandre.
I due daranno vita a una serie di duelli all’ultimo calice, intrisi di vicissitudini familiari, flashback e colpi di scena.
Anche se a volte un po’ forzata, Drops of God ha una buona trama, le otto puntate sono girate e montate abbastanza bene, e tutto sommato scorrono velocemente. Ma ahimé, le note dolenti riguardano proprio il vino e una certa irrealisticità nel raccontarlo.
Da appassionati ci aspettiamo sempre tanto, forse troppo, dimenticando magari quanto l’accuratezza dei minimi dettagli sia sostanzialmente irrilevante per il grande pubblico non enostrippato. Diciamo che la serie si è spinta parecchio oltre nel romanzare l’argomento vino.
|ATTENZIONE: DA QUI SPOILER|
Ecco una serie di baggianate che troverà chi guarda la serie.
Un’astemia che, per il potere di Greyskull, in poco più di un mese si crea un bagaglio di esperienza tale da consentirgli di indovinare qualsiasi vino e annata alla cieca
Ridurre al solo botte vecchia o nuova la differenza tra Vega Sicilia e Cheval Blanc
In Alto Adige non ti caga nessuno ma basta sventolare ai quattro venti che scrivi per una guida importante e, apriti sesamo, sei il benvenuto in ogni azienda
Col solo assaggiare vino e terreno (?!) si può ricreare una cuvée di 13 vitigni diversi di uno Châteauneuf-du-pape di trent’anni.
La lista dei superpoteri da fantascienza del vino potrebbe proseguire ma la cosa più grave è che, come al solito, tutto viene ridotto alla caricatura di un pinguino snob che con sguardo basito scruta un calice, ci trova 50 sentori e quello che in realtà si pensava fosse sedano con l’invecchiamento si trasforma invece in tartufo (?!): nella serie, “il” marker che contraddistingue dagli altri un grandissimo vino contenente cabernet sauvignon o franc. E quel vino, nello specifico, è senza dubbio uno Cheval Blanc 1999.
Insomma, noi appassionati saremo forse un po’ malati però non si può non rilevare che, in questo caso, abbia irrimediabilmente preso il sopravvento una dimensione prestazionale dell’enologia, ricca di banalizzazioni e stereotipi che intrattengono a dovere ma fanno anche un po’ dispiacere.
In conclusione, se amate le storie romantiche e del vino vi interessa poco, Drops of God è una serie che apprezzerete. Fortemente sconsigliata invece agli enostrippati di professione, a me ha messo solo tanta sete.