Il vino semplice non ha cittadinanza su queste pagine. Bevitori di châteaux, appassionati puntigliosi, professionisti del settore, critici e guidaroli, tutti lo snobbano. Perché lui, poverino, non ha etichetta – che orrore! – e lo vendono a litri. Diamogli voce, per una volta.
Il vino semplice è il proletario dell’enologia, non ha pretese di blasone né rappresentanti azzimati e ciarlieri. Al massimo gli è permesso sfoggiare una paternità di vitigno ed una DOC, ma ormai un cavalierato lo si dà a chiunque, che sarà mai? Se ci pensate bene però, è la colonna portante del vino italiano: la massa ettolitrica la costituisce lui, insieme all’infame fratellastro, il vino da bottiglione.
Quando arriva la fine dell’inverno, i vignaioli che lo producono aspettano il cliente che arriva con le sue damigiane nel baule. Tutto uno sciame di macchine dalla pianura allora risale i primi colli a prendere il vino nuovo in cantina. Lo faceva tuo padre, forse perfino tuo nonno, ed ora lo fai anche tu. E anche il produttore probabilmente è figlio o nipote di quello che per primo fornì la tua famiglia, e ti conosce da una vita.
Il vino semplice nasce in cantine modeste, arruffate magari, ma sincere. Non è destinato a finire sulle tavole domenicali, ad essere esibito sui social, recensito, vivisezionato, punteggiato, no. È il vino della mensa quotidiana, della bicchierata spensierata, del quartino che spegne la sete estiva, e della fetta di salame all’osteria. E non disdegna il vetraccio infrangibile, lui che è nato nudo.
Già, perché il vestito glielo darai tu che te lo porti via e lo imbottigli a casa tua. Capiterà perfino che il vino semplice non riceva nemmeno quella minima dignità: basta che siano entrambi veneti, ed il bevitore poco distante dalla cantina, cosa facilissima, per passare in tavola direttamente da una dama o una tanichetta, e via così, in un andirivieni di settimana in settimana, come prelevare acqua da una sorgente.
Di solito però il viaggio ed il lavoro si fa una volta all’anno: certo, non è cosa da tutti, direte. Ci vogliono l’attrezzatura, gli spazi per lavorare, le bottiglie vuote e pulite, i tappi, i cartoni, la cantina fresca! Ed una schiena non troppo artrosica, se amate i dettagli.
Ma il lavoro si ripaga con tante piccole soddisfazioni, infine. Specialmente se il vino semplice è anche buono. Di sicuro è più eco-compatibile dei suoi fratelli ricchi: veste sempre le stesse bottiglie, lavate anno dopo anno, usa i cartoni recuperati da altre cantine, ha il cappello riciclabile in polietilene oppure di latta, e se è di sughero finirà nel camino. La capsula non gli si addice, mica fa lo snob come i suoi fratellastri da supermercato, lui.
Quando fa veramente divertire il vino semplice è un vino frizzante. Che è un po’ tutta la tradizione che trovate risalendo la Via Emilia bolognese, e piegando a sinistra una volta raggiunto il Po. Piemontesi e toscani bevano il tranquillo e si tacciano, per una volta. I lombardi della Bassa e gli emiliani sorridono sornioni, e brindano felici: la gioia che donano queste sciampagne dei poveri, loro la conoscono bene.
Su questi colli dietro casa si producono secondo un sistema atavico dei vini semplici, bianchi e neri, che tramandano la centenaria allegria delle osterie padane. Lo schiocco all’apertura, le quattro dita di schiuma nel bicchiere, la bollicina ruspante che raschia la gola, tutto concorre a farvi passare un’estate dissetata e ad ottenere d’inverno il palato sgrassato dalle tante porcherie che si presenteranno in tavola. Però solo se il vino semplice sarà rispettoso della tradizione potrete godere del suo gustoso brio popolano.
Il segreto è banale: il vino semplice dell’Appennino settentrionale rifermenta una volta che cominciano i primi caldi. È la solita vecchia storia, i lieviti indigeni, un residuo zuccherino, la feccia fine, un po’ di torbido se lo versate fino in fondo, un tappo a tenuta e soprattutto una bottiglia resistente: ché quell’anno che gli gira, il vino semplice sfodererà anche lui le sue belle 6 atmosfere, che vi credete? Direte però che queste cose ce le abbiamo già sullo scaffale dell’enoteca senza scomodarci con tutto il trafficare di cantina; si chiamano Metodo Ancestrale, Sur Lie, Colfondo, No Autoclave, Vino Vivo, e via elencando. E sono pure di moda.
Vero, verissimo. Ma se farete quel tal viaggetto annuale dal vostro vignaiolo di fiducia, può anche darsi che al prezzo di un cartone da 6 già pronto, ne porterete via un’intera damigiana. E allora, mettendoci un po’ di lavoro, avrete in tavola sciampagna e festa tutti i giorni.