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13 Marzo 2023

Chiaretto di Bardolino | Anteprima 2023 del vino rosa più importante d’Italia

1000 ettari di vigneto, 100 produttori e 10 milioni di bottiglie annue fanno del Chiaretto di Bardolino il vino rosa più importante d’Italia. Sulla sponda veronese del Lago di Garda ho avuto l’opportunità di tuffarmi nell’anteprima 2023 con maschera e pinne fornite dal Consorzio di Tutela Chiaretto e del Bardolino, e l’impeccabile supporto logistico di Studio Cru.

Riassunto delle puntate precedenti
C’è stato un tempo in cui il Chiaretto era considerato soltanto un sottoprodotto del Bardolino. Veniva infatti ottenuto attraverso il prelievo di mosto (salasso) dalle vasche destinate al vino rosso per aumentarne la concentrazione per effetto dell’aumento del rapporto bucce/succo. Oggi la vinificazione in rosa esige la selezione di uve espressamente dedicate che vengono sottoposte a macerazione prefermentativa di alcune ore a bassa temperatura per l’estrazione di profumi e colore. La fermentazione si innesca a posteriori previa separazione del mosto dalle bucce. Il nuovo disciplinare del Chiaretto di Bardolino prevede l’utilizzo obbligatorio di due sole cultivar: la corvina veronese (fino a un massimo del 95%) e la rondinella (con un minimo del 5%). Ne consegue che l’aggiunta di altre varietà autoctone tradizionali è consentita ma facoltativa. La vinificazione avviene di norma in acciaio ma non manca chi preferisce le vasche in cemento vetrificato. Di recente alcune cantine hanno introdotto l’uso dell’anfora nella fase di affinamento che precede l’imbottigliamento.

La svolta della Rosé Revolution: meno colore, più tenuta nel tempo
Sebbene qui il vinum clarum si producesse già in epoca romana, è solo da un decennio che il concetto di qualità si è radicato nel disciplinare grazie a un profondo processo di revisione. Ricordo il mio scetticismo all’uscita dell’annata 2014, quella della cosiddetta Rosé Revolution: il colore rosa evanescente non mi comunicava alcuna gioia; quei vini scheletrici, citrini e salati, non mi entusiasmavano affatto. Oggi è spiazzante dover riconoscere quell’errore di valutazione. Ho nel bicchiere, una volta di più, la versione 2014 (ora in brillante veste dorata) di Poggio delle Grazie che sorprende per la fragile complessità, con gli agrumi canditi e il sale perfettamente integrati nella lunga coda sapida e speziata. Ancora meglio il 2015 di Tenuta La Presa, sfiorato da un’idea di ossidazione che dona un supplementare tocco di fascino.

Il momento di vendere e il momento di bere (non coincidono)
Il Chiaretto per consuetudine viene consumato nell’estate successiva alla vendemmia, in genere come aperitivo. Questo è ciò che reclama il mercato. “A dicembre riceviamo già richieste per la nuova annata non ancora imbottigliata”, conferma Franco Cristoforetti, presidente del Consorzio. La domanda incalzante fa il paio con la necessità di far cassa delle aziende. Peccato, perché il Chiaretto post-revolution raggiunge la maturità con almeno un paio d’anni sulle spalle, toccando il suo vertice qualitativo a 4-5 anni di età. Educare l’intera filiera a questa consapevolezza alla lunga potrebbe aiutare a riposizionare il prodotto più in alto nelle gerarchie del mercato. L’attuale fascia di prezzo consente grande competitività soprattutto all’estero (60% delle vendite totali) ma non libera i produttori dalle preoccupazioni economiche.

L’annata 2022
L’irrigazione d’emergenza, divenuta ormai prassi, nel 2022 ha letteralmente salvato il raccolto dalla siccità e dalle temperature estive estreme. Il cambiamento climatico sempre più aggressivo ha portato ad anticipare la vendemmia di ben 8 giorni rispetto alla media degli ultimi anni. C’è chi benedice i vecchi impianti a pergola, chi pensa di tornarci. Con tali premesse mi sarei atteso vini carichi e alcolici ma così non è stato. Le piante in forte stress idrico hanno dato priorità alla sopravvivenza invece che allo sviluppo fruttifero per cui la maturazione è stata lenta e complicata. Nel calice ho ritrovato vini mediamente buoni ma con una certa standardizzazione organolettica attribuibile non tanto al terroir (non ancora) quanto allo stadio evolutivo (imbottigliamenti recenti o campioni da vasca) e forse all’utilizzo di lieviti selezionati. Alla cieca ho selezionato il Rodòn – Le Fraghe (la mia comfort zone), il 30 Vendemmie – Le Tende (buon anniversario!), il Corderosa – Le Vigne di San Pietro (una lieta sorpresa, almeno per me) il Keya – Guerrieri Rizzardi (il posto delle fragole) e il Rosa dei Casaretti (sulla torbida via salata), ovvero gli esempi che sembrano promettere, per motivi differenti, intriganti sviluppi.

Le altre annate
Non sono mancate incursioni tra le annate pregresse ed è proprio qui che ho raccolto le soddisfazioni maggiori.

Il Barbagliante 2021 di Gentili è il più originale tra tutti i vini degustati. Il colore è davvero bello, più acceso rispetto ai vicini di calice. Gli aromi di agrumi e di ciliegia selvatica sono veicolati da uno sbuffo di volatile perfettamente utile allo scopo. In bocca è freschissimo con una sapidità che resta a lungo sulle papille. Passato in anfora, è uno dei pochi a mantenere nell’uvaggio una fiera e consistente percentuale di molinara, varietà ovunque in via di abbandono.
La vendemmia 2021 è considerata dai vignaioli tra le più interessanti degli ultimi anni e trovo conferma nella piacevolissima trama tattile del inAnfora – Zeni 1870. Che sia proprio questo lo strumento più adatto alla maturazione del chiaretto? In effetti alcuni produttori confessano una predilezione per i vasi vinari dell’azienda trentina Tava, tanto da consigliarmi vivamente una visita alla sede di Mori, non molto distante dal lago.
Il mio premio per il miglior assaggio va al Traccia di Rosa 2020 di Matilde Poggi (Le Fraghe) dal bel colore oro con riflessi aranciati appena percettibili (il nome non è casuale). Oltre alle classiche note agrumate, uvafragola e miele appaiono e scompaiono in un sorso che è al contempo vibrante e di carezzevole suadenza.
Merita una menzione il Chiaretto 2019 di Giovanna Tantini, da uve raccolte in successivi passaggi e vinificate separatamente per esaltare le caratteristiche proprie di ogni varietà utilizzata. Il risultato di questo maniacale lavoro di selezione e assemblaggio è di una classicità che non lascia dubbi. Sì, annata 2019 oggi al top!


Il confronto internazionale
Didattica e illuminante la masterclass col Chiaretto a confronto coi rosati di Mosella, Rioja e Provenza, rigorosamente serviti alla cieca. Se il vitigno (pinot nero) e lo stile (acidità e residuo zuccherino) hanno reso semplice l’individuazione dei vini tedeschi, le differenze sono apparse più sfumate nel confronto con la Rioja fino quasi a scomparire nella batteria con la Provenza (complice un’annata 2022 ancora acerba). La degustazione comparata intendeva suggerire che un buon Chiaretto, oltre a essere riconoscibile, non teme l’accostamento con vini di maggior lignaggio come il Mosel Pinot Noir Rosé Haus Klosterberg 2021 di Markus Molitor (secondo Robert Parker uno dei migliori rosè tedeschi degli ultimi vent’anni) o il Côtes de Provence Chateau Peyrassol, venduto al doppio del prezzo medio di un vino rosa del Garda. Obiettivo sostanzialmente raggiunto assieme alla conferma che il terroir si esprime pienamente solo dopo un ragionevole periodo di affinamento in bottiglia.

Charmat vs metodo classico
La versione spumantizzata rappresenta una nicchia all’interno della denominazione. Il Consorzio pare orientato a puntare sui prodotti da metodo Charmat, scelta che non condivido per il semplice fatto che non riesco a coglierne tipicità o peculiarità. Chiedo scusa, non è la mia tazza di tè. Tra i 22 spumanti in assaggio prendo atto della netta superiorità, per tensione e complessità, del Brut 2018 di Costadoro e del Dosaggio Zero 2019 Gentili, entrambi (guarda caso) da metodo classico. Tra le versioni in autoclave, l’unico a convincermi è il Brut di Raval, forte di un’esplosiva fragranza aromatica. Piuttosto, fuori da questo contesto, ho memoria di riuscitissime rifermentazioni in bottiglia senza sboccatura di Poggio delle Grazie e Casaretti, perché non dar voce a questa tipologia?

Conclusioni
Il Chiaretto di Bardolino non conosce crisi e chiude il 2022 con una crescita globale del 3%. A quasi dieci anni dalla Rosé Revolution i risultati sono palpabili in termini di vendite, qualità e credibilità. Su questa solida base, alcune considerazioni sparse.

Un plauso alle aziende che hanno deciso di diversificare l’offerta aggiungendo prodotti espressamente concepiti per essere messi in commercio dopo un affinamento più lungo (come il Gaudenzia di Villa Cordevigo) investendo per un futuro orientato all’alta qualità.
Gli esempi virtuosi da fermentazione senza aggiunta di lieviti selezionati dimostrano che si possono creare vini rosa più profondi, originali e con uno spettro aromatico più ampio e avvincente, senza incappare nei tanto temuti difetti.
Il biologico fa bene all’ambiente e, come emerge dagli assaggi, fa bene anche al vino. A quando un Consorzio 100% BIO? 

Gli esperimenti di affinamento in anfora stanno fornendo risposte molto interessanti. Non sarà tradizione, ma se funziona… perché no?