Ci sono vini che in un certo senso rispecchiano il nostro modo di intendere la vita in un determinato momento. L’ombra dell’età che avanza mi spinge a evitare in maniera ormai sistematica qualsiasi forma di competizione. Nelle solitarie corse in campagna preferisco i capi più comodi e consunti a quelli più tecnici e recenti, e misuro il tempo col campanile piuttosto che con lo smartwatch. Rallento alla ricerca della giusta cadenza, della sincronia gambe-polmoni, dell’armonia tra anima e corpo per faticare quel tanto che basta a produrre la dose giornaliera di endorfine.
Rallentando, un po’ come la tartaruga di Bruno Lauzi, spero forse di trovare quella felicità che libera dalle costrizioni e invita a godere, con la dovuta calma, del microcosmo di cui siamo parte. Pensavo a tutto questo bevendo uno strano vino rosa spagnolo capitato un po’ per caso sulla mia tavola. El Plantarga 2019 dell’azienda Carlania Celler è prodotto con uva trepat in purezza, vitigno a me sconosciuto ma core business di questa piccola cantina catalana. Proviene da una vigna di un ettaro e mezzo (dei 10 totali dell’azienda) coltivata in biodinamica certificata, nel comune di Barberà de la Conca, a un’altitudine di 410 metri, 20 km nell’entroterra di Tarragona.
In realtà, affermare che questo rosato sia strano non è corretto: sfugge piuttosto alla catalogazione sulla base dei parametri che siamo soliti usare per il vino dell’enologo. Qui la tecnica non è assolutamente predominante, la ricerca della performance inesistente. Non so spiegarlo meglio: si intuisce che non è costruito per piacere ma è frutto del piacere di produrlo. Un vino che non vincerà mai un concorso e non strapperà punteggi stratosferici ma che arriva comunque, a una velocità che non è certo quella della competizione, alla questione focale illustrata nell’antefatto.
Il colore è salmone chiaro, appena opaco per via dell’assenza di filtrazione e chiarifica, come un acquerello leggero senza alcuna ambizione di contrapporsi alla pittura materica. Tre anni dopo la vendemmia è ancora fresco d’uva fermentata, mela acerba, nespola e melograno ma l’impressione è che non vada atteso oltre. Si esprime con discrezione e con la semplicità disarmante del perfetto comprimario che lentamente conquista i sensi, esalta il cibo e appaga la sete. Nessuna esplosione di aromi o sapori né tantomeno deviazioni organolettiche che i detrattori associano spesso ai cosiddetti vini naturali.
In etichetta si legge SANS (Sense Additius Ni Sulfits – in catalano) ma non so se l’azienda aderisca o meno all’omonima associazione che vanta il disciplinare più restrittivo dell’intero comparto bioqualcosa. Ha 10,8 gradi di alcol, un solo mg/l di solforosa totale (credo sia un record) e un prezzo on-line, più onesto che competitivo, di circa 10 euro.
Rallentare, rifuggire la competizione, bere buon vino rosa: tre passi avanti verso un’illusione di felicità.